«Vedevo lingue di fuoco alzarsi al cielo, avvolte in un denso fumo nero come la pece. Il padre di Matteo gridava: "Vai Sara! Salvalo! Nostro figlio è lì che brucia". Il nostro adorato e unico figlio era lì, arso vivo dall’abominevole sete di sangue che questi sciacalli assassini non placheranno mai».

 

Sono gli ultimi istanti di vita di Matteo, scolpiti nella mente di mamma Sara Scarpulla, la madre di Matteo Vinci. Adesso incisi sul monumento dedicato a suo figlio. Accanto la foto del biologo 42 enne. Indossa la sua divisa da caporalmaggiore. Sguardo fiero, orgoglioso.

 

La lapide “in ricordo del martirio… vittima innocente della ‘ndrina”, è stata eretta su luogo dell’attentato, a Limbadi. Sono trascorsi due anni e mezzo dall'esplosione dell'autobomba che ha spezzato la vita del suo Matteo. Mamma Sara cammina sulla strada lungo la quale, malgrado il tempo trascorso, sono ancora evidenti le tracce dell'attentato.

 

La Dda di Catanzaro dopo avere arrestato i mandanti chiude il cerchio assicurando alla giustizia anche i due uomini che avrebbero confezionato la bomba sistemandola sotto la vettura a bordo della quale viaggiavano Matteo, dilaniato dalla deflagrazione, e suo padre Francesco, miracolosamente sopravvissuto all'attentato terroristico-mafioso, malgrado le laceranti ferite riportate.

 

Sara (nella foto a sinistra insieme al marito) è una donna forte e tenace. È lei che oggi si occupa del fazzoletto di terra che la famiglia Mancuso voleva strappargli. Il terreno che Matteo ha difeso fino alla morte. Il movente di una carneficina. Suo marito Francesco non ce la fa più. È anziano, provato. Non è più lucido come un tempo. Gran parte della sua vita si è fermata a quel 9 aprile del 2018.

 

«Matteo era tutto per noi. Ce l’hanno portato via…» dice Sara. Ieri l’operazione “Demetra 2” che ha portato all’arresto dei due esecutori dell’autobomba. «Sono certa – dichiara Sara – che altre persone sono coinvolte nella strage e presto verranno fuori i nomi».

 

Traffici di droga, debiti criminali, il terreno da estorcere. Mamma Sara non poteva immaginare che dietro alla morte di suo figlio ci fosse una trama così intricata. «Hanno ucciso mio figlio per saldare un debito di 7 mila euro…. Quanto poco vale una vita per questi assassini».

 

Più volte in passato Sara ha sostenuto di sentirsi sola. Abbandonata anche da una parte delle istituzioni. «Pochi giorni dopo la morte di mio figlio, durante una intervista mi chiesero: “Signora ma adesso lei crede nella giustizia?” Risposi: “Sì, se il caso Matteo arriva nelle mani del Procuratore della Dda di Catanzaro».

 

E così è stato. «Ho capito che Gratteri era l’uomo giusto al momento giusto sulla mia strada». Spero che il suo impegno continui per molto altro tempo ancora, per tutte le altre madri, per tutte le famiglie che attendono risposte. Adesso è il momento giusto per avere giustizia. Adesso è il momento giusto per uscire da questa cappa criminale che soffoca lo sviluppo del nostro territorio».