L’ultima inchiesta della Dda di Catanzaro documenta i tormenti degli imprenditori vessati dal racket, la sfiducia nei confronti dello Stato prevale sulla volontà di non cedere al ricatto della criminalità organizzata
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«Se non pago mi incendiano il mezzo, e va bene; ma se denuncio, mi fanno morire». L’imprenditore edile di Diamante (Cs) vessato dalla criminalità organizzata, riflette ad alta voce sulla propria condizione miserevole e non sa di essere intercettato. È il 17 gennaio del 2025 e da quasi tre anni la sua vita è diventata un inferno. Quando ha eseguito lavori sul lungomare e in una scuola del suo paesino, lo hanno lasciato perdere; ma ora che ha preso appalti più consistenti gli sono piovute addosso le richieste estorsive. Che fare? L’inchiesta della Dda di Catanzaro che nelle scorse ore ha portato all’arresto di cinque dei suoi presunti taglieggiatori, racconta anche dei suoi tormenti interiori; che poi sono quelli di tutta una categoria, se non di un intero corpo sociale.
I guai per lui cominciano a novembre del 2022 quando il racket bussa alla porta del cantiere che ha aperto a San Nicola Arcella per ammodernare lo stadio locale; l’appalto è da 560mila euro e l’emissario dei clan gliene chiede 14mila con una motivazione secca e difficile da confutare: perché «così fanno tutti, pagano tutti». Si accordano per soli settemila euro e, alla fine, il diretto interessato ne sborserà solo tremila, ma non finisce qui. Passano gli anni e alla fine del 2024, riceve un’altra visita sgradita. Lo fermano mentre è a bordo del suo furgone e, non solo gli chiedono il saldo degli arretrati, ma avanzano una nuova richiesta: di quei lavori da un milione di euro che sta eseguendo nel centro storico di Cirella, ne pretendono trentamila, giusto il 3%.
L’uomo è combattuto, non sa cosa fare. Agli albori della sua disavventura, si è sfogato con l’amico maresciallo; in seguito ha cercato altri abboccamenti con i carabinieri, ma in entrambi in casi non è mai andato oltre la semplice confidenza. Di denunciare, non ne ha alcuna intenzione. «Il problema è che c’è molta omertà – spiega sconsolato a un amico – qua la gente, la gente non se ne frega niente, continuano ad assecondare tutte queste richieste, ma io non ce la faccio». Il dubbio che lo assilla è dei più laceranti: non vuole denunciare, ma al tempo stesso sa di non poter cedere al ricatto. Teme che gli incendino il magazzino e così chiama il suo assicuratore e gli chiede «di rivedere quella polizza perché se devo spendere mille euro in più, se mi succede qualcosa, cioè io non è che posso chiudere l’azienda così».
Questa storia sta mettendo a dura prova i suoi nervi - «Mi litigo in continuazione, sono sempre nervoso» - che più d’una volta rischiano di cedere. Si muove in equilibrio, sempre più precario, su quel filo sottile e invisibile che separa l’intransigenza dalla resa senza condizioni. «Se ti metti a denunciare poi passi un guaio», un suo amico lo mette in guardia e indossa i panni del diavolo tentatore: «Gli devi dare una cosa alla volta, una cosa alla volta ogni tanto». È un parla-parla che, fatalmente, arriva alle orecchie dei diretti interessati. Nei racketeer matura il sospetto di essere stati denunciati, ma è un’eventualità che, purtroppo, non li induce a indietreggiare.
La loro contromossa è quella di cambiare interlocutore. Non si rivolgono più in modo diretto all’imprenditore, bensì a suo padre. «Tuo figlio è un infame e con lui non ci parliamo» gli urlano contro, prima di convocarlo a un incontro chiarificatore da tenere in quel di Cetraro. Dopo mille e più titubanze, l’anziano aderisce all’invito e si ritrova in un luogo appartato a dialogare con un uomo incappucciato e vestito di nero che si propone di chiudere la questione così: «Dammi la mano, dammi la mano che non è vero che avete fatto denuncia e potete campare cent’anni». Questo misterioso individuo, a tutt’oggi, non è stato ancora identificato.
Nel frattempo, mentre suo padre se la vede con i fantasmi, il figlio ha un moto d’orgoglio: «Io tutti questi soldi alla delinquenza non li do! Possono morire con me!», ma sarà poi un confronto con lo stesso genitore a indurlo a più miti consigli. Il padre gli riporta infatti uno scambio di battute intercorso poco prima tra lui e il capitano dei carabinieri. «Se vi comportate così, la Calabria non cambierà mai». La sua risposta: «Capitano, non mi venite a dire che lo Stato ci tutela. Per dieci che ne arrestate, ne escono venti ancora più forti di quelli che avete arrestato. Questi sono qui da cinquant’anni. E fanno il bello e il cattivo tempo».