Salvatore Ascone “u Pinnularu” torna al centro delle indagini della Dda di Catanzaro. Per Emanuele Mancuso l’imprenditrice fu uccisa e fatta pezzi per non aver voluto cedere le sue proprietà (ASCOLTA L'AUDIO)
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Ad Antonio Cossidente, l’ex boss dei Basilischi che di lui si prese cura «come un figlio» nel carcere dei collaboratori di giustizia, Emanuele Mancuso raccontò molto cose. Raccontò tra l’altro, per esempio, che Salvatore Ascone “u Pinnularu”, indicato quale narcotrafficante tra i ranghi del clan Mancuso, voleva ad ogni costo i terreni di Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello inghiottita dalla lupara bianca il 6 maggio 2016. Maria, però, non volle cedere: erano i terreni della sua famiglia, che si aggiungevano a quelli ereditati dall’ex marito morto suicida un anno prima. Maria fu rapita, uccisa, «data in pasto ai maiali o fatta a pezzi con un trattore», rivelò lo stesso Cossidente ai pm antimafia di Catanzaro.
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Indagato per aver agevolato la feroce azione di morte, spegnendo le telecamere di videosorveglianza prospicenti al cancello davanti al quale Maria fu presa e portata via dai suoi aguzzini, Ascone non subì mai un processo. La sua posizione fu archiviata dopo il pronunciamento del Tribunale del Riesame di Catanzaro, che accogliendo le argomentazioni dell’avvocato Francesco Sabatino destrutturò l’impianto accusatorio.
Ascone, però, per la Procura di Catanzaro, sarebbe rimasto un tipo vorace e desideroso dei terreni. È questa la tesi che il procuratore Gratteri ed i pm antimafia Buzzelli, De Bernardo e Frustaci sostengono tra le pieghe dell’indagine Maestrale-Carthago, che vede tra i 167 indagati sia Salvatore Ascone, sia il figlio Rocco, che Nicolae Laurentiu Gheorghe, ovvero il pastore straniero che fu coinvolto e poi (anch’egli) scagionato nell’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Maria Chindamo.
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I tre sono accusati di associazione mafiosa e traffici di armi, ma al presunto narcos viene contestata pure la «condotta estorsiva» posta in essere «mediante violenza e minaccia, consistite nell’invasione di terreni e nella creazione di apposita ed abusiva recinzione» per costringere un intero nucleo familiare a cedere i propri terreni «siti in località Montalto del Comune di Limbadi». Anche i terreni e le aziende agricole di Maria Chindamo, come quelli di Ascone, si trovano in località Montalto. Così come quelli di un’altra donna che, però, alla sua pretesa si oppose.
Le violenze e le minacce poste in essere da Ascone, secondo l’accusa, sarebbero in questo caso consistite «nella ripetuta invasione di terreni e con il pascolo abusivo». Avrebbe dunque tentato di costringere la proprietaria a vendere i suoi possedimenti «ad un prezzo ribassato e mediante denaro contante». Siamo sempre in località Montalto e le due distinte vicende narrate nell’indagine dei carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia si consumarono tra il gennaio del 2016 e l’agosto del 2017: il 6 maggio 2016, poco dopo le sette del mattino, Maria Chindamo scomparve per sempre.