«Non ci sono alibi per nessuno perché si tratta di gente che in maniera scientifica e cosciente viola le leggi ma crede che nessuno vada a disturbarli. Si sentono padroni di un territorio, noi con i carabinieri siamo riusciti a documentare quello che avviene in uno spazio che non deve essere solo loro ma di tutti perchè è un pezzo di territorio della città di Lamezia Terme». Così il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha commentato la nuova indagine "Quarta Chiave" coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che questa mattina - con un blitz all'alba che ha richiesto l'impiego di ben 300 carabinieri del Gruppo di Lamezia Terme - ha assestato un duro colpo agli appartenenti della comunità rom insediata nel fortino di contrada Scordovillo a Lamezia Terme. L'accusa è di traffico illecito di rifiuti, il gip ha convalidato l'arresto nei confronti di 29 persone. 

Ettari di terreno inquinati

«Qui ci sono ettari di terreno - ha proseguito il procuratore - inquinati in maniera pesante e per alcuni versi irreversibile. Questo tipo di inquinamento provoca e moltiplica tumori alle vie respiratorie e inquina le acque». L'inchiesta prende le mosse nel 2019, dopo l'ennesimo rogo di rifiuti nel fortino rom che aveva originato fumi tossici. All'esito delle investigazioni è emerso come un nutrito gruppo di residenti fosse dedito alla raccolta dei rifiuti rivenduti per essere smaltiti grazie all'appoggio di ditte compiacenti: «Si tratta di una vera e propria attività imprenditoriale sistematica - ha aggiunto ancora Gratteri -, ognuno aveva il suo camion e andava a raccogliere materiali ferrosi, quando non proprio a rubare in particolare il rame smaltendolo nella maniera più economica possibile o rivendendolo ad altre imprese compiacenti che sapevano perfettamente da dove arrivava quel materiale e in che modo veniva smaltito».

Paravento delle attività illecite

Tre le società poste sotto sequestro create appositamente allo scopo di realizzare un traffico di rifiuti: «Nell'attività di smaltimento dei rifiuti - ha illustrato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla - svolgevano anche un ruolo alcune imprese individuali e società, le quali benché iscritte all'albo nazionale dei gestori dei rifiuti hanno costituito il paravento dietro il quale è stato possibile realizzare questo traffico illecito; ad esempio le documentazioni identificativi dei rifiuti sono stati alterati rispetto alla reale natura e alla reale quantità dei rifiuti che venivano smaltiti». Alla vendita venivano inviati solo i rifiuti di valore, il resto abbandonato nei pressi del campo rom: «All'interno del campo abitano donne e bambini - ha chiarito il comandante del Gruppo Carabinieri di Lamezia Terme, Sergio Molinari - che vivono in un contesto degradato con il suolo impregnato di metalli pesanti».