Filippo Cogliandro non è solo uno chef. La sua storia personale e professionale è un esempio di coraggio, determinazione e impegno sociale. Il suo ristorante, "L'Accademia Gourmet", nel cuore di Reggio Calabria, è diventato un punto di riferimento per la cucina d'autore, ma anche un laboratorio di inclusione e riscatto. La sua missione va oltre l’esaltare la tradizione gastronomica calabrese. Dimostra che la legalità e l'impegno sociale possono essere ingredienti essenziali di un modello economico etico e sostenibile.

Negli anni, il nome di Filippo Cogliandro ha varcato i confini della Calabria, portando con sé un messaggio di rinascita e trasformazione. Il suo ristorante, luogo di assoluta eccellenza culinaria, è oggi una vera e propria testimonianza di resistenza e volontà di cambiamento. Chiunque vi entri non assapora soltanto piatti prelibati, ma partecipa a una storia di lotta e speranza, scritta con ingredienti autentici e valori profondi.

Dalla vocazione religiosa alla passione per la cucina

«Da ragazzo pensavo di diventare sacerdote». Inizia così il racconto di Filippo Cogliandro, davanti alle telecamere del Network LaC, intervistato dalla vicedirettrice de ilReggino.it Elisa Barresi per LaC Eventi. «Mi affascinava l'idea di dedicare la mia vita agli altri, ma poi ho capito che il mio linguaggio era un altro: il cibo».

Cresciuto a Reggio Calabria, ha studiato al seminario arcivescovile, ma la passione per l'arte lo ha condotto altrove. «Per me la cucina è una tela bianca su cui dipingere emozioni – spiega -. Ogni ingrediente racconta una storia, ogni piatto è un messaggio». La sua filosofia culinaria si fonda sulla ricerca e sulla valorizzazione delle materie prime locali, con un'attenzione particolare ai prodotti biologici e a chilometro zero.

Ma dietro ogni piatto, dietro ogni creazione, c’è sempre un racconto, un ricordo d’infanzia, un momento vissuto. «Mi ricordo ancora il profumo del pane caldo che mia nonna sfornava, il sapore del pomodoro appena colto. Sono queste le cose che mi hanno fatto innamorare della cucina – dice -. Ogni volta che cucino, voglio trasmettere queste emozioni. Voglio che chi assaggia i miei piatti possa sentire il sapore della mia terra e della mia storia».

Il coraggio di denunciare: una scelta che ha cambiato la Calabria

Nel 2008, Filippo Cogliandro ha preso una decisione che pochi imprenditori avrebbero avuto il coraggio di compiere: ha denunciato un tentativo di estorsione da parte della 'Ndrangheta, prima ancora di subire danni economici o intimidazioni dirette. «Mi hanno chiesto soldi. Io non ci ho pensato due volte: sono andato dritto alla Guardia di Finanza – racconta lo chef -. Mi hanno guardato increduli. Non era mai successo che qualcuno denunciasse prima di essere costretto a pagare».

Questa scelta ha segnato profondamente il suo percorso, trasformandolo in un simbolo di resistenza e rinascita per tutta la comunità. «Non sono un eroe - precisa chiaramente e con grande fermezza -, ho solo fatto quello che era giusto. La paura c’era, certo, ma il mio amore per questa terra era più grande».

Mentre lo racconta a Chef Cogliandro brillano gli occhi, e quasi si emoziona. Denunciare ha significato perdere clienti, subire minacce, ma anche trovare un nuovo scopo. Diverso, autentico. «Ho capito che non potevo fermarmi. Dovevo fare qualcosa di concreto», spiega. Così ha iniziato a organizzare eventi, incontri, a portare avanti la sua battaglia con piatti che raccontano di libertà e dignità. Oggi, il suo ristorante è un esempio di resistenza attiva, un luogo dove ogni pasto diventa un messaggio, ogni cena una piccola vittoria sulla paura, ogni brindisi uno schiaffo all’odio ed al terrore generato da chi questa terra la vorrebbe morta.

La cucina come strumento di inclusione

Filippo Cogliandro vede nella sua cucina qualcosa che possa trascendere il tempo e le distanze, e così il suo viaggio non si è fermato alla Calabria. Nel 2013, dopo un incontro con giovani migranti ospitati in un centro di accoglienza, ha deciso di aprire loro le porte della sua cucina. «Ho visto nei loro occhi la voglia di imparare, di riscattarsi. Non potevo ignorarlo», racconta lo chef. Da lì è nata un'opportunità straordinaria: formare questi ragazzi e dare loro una speranza concreta.

Ma la sua visione è andata oltre. «I miei collaboratori in cucina erano in gran parte gambiani. Un giorno mi hanno detto: "Chef, vieni a vedere la nostra terra". E così ho fatto». Nel 2023, ha inviato un'intera cucina professionale in Gambia, permettendo a giovani locali di apprendere l'arte della panificazione. «Abbiamo creato un vero laboratorio, con macchinari che lì non si erano mai visti. La loro gratitudine mi ha commosso», racconta. Oggi, quei ragazzi producono pane per la comunità e sognano di aprire un ristorante. «Non ho dato loro solo un forno. Ho dato loro la possibilità di immaginare un futuro diverso».

E la soddisfazione più grande? Vedere i suoi ex allievi diventare a loro volta formatori. «Mi hanno scritto che stanno insegnando ad altri ragazzi. Questo è il senso di tutto: creare qualcosa che duri, che si moltiplichi nel tempo».

Un messaggio di speranza

Filippo Cogliandro ha dimostrato che la cucina può essere molto più di un'arte: può diventare uno strumento di trasformazione sociale. Il suo esempio ha ispirato giovani chef, imprenditori e attivisti, mostrando che il cibo può unire mondi diversi e abbattere barriere culturali e sociali.

«Se qualcuno mi chiede cos’è il mio lavoro, rispondo che non è solo cucinare. È dare una possibilità. È credere che attraverso il cibo si possa costruire qualcosa di grande».

Oggi, con nuovi progetti in cantiere, continua a guardare avanti, consapevole che il suo lavoro non si ferma alla preparazione di piatti straordinari, ma contribuisce a costruire una società più giusta e inclusiva. «Il mio sogno? Vedere sempre più giovani seguire questa strada, credere che il cibo possa cambiare il mondo».

E mentre le sue mani impastano, creano e innovano, il suo cuore rimane saldo nei valori di giustizia, condivisione e legalità. Perché in fondo, la vera rivoluzione inizia dalla cucina, e da quella visione di futuro fatta di bellezza autentica.