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L’avevamo scritto all’indomani del disastro elettorale del PD: al gruppo dirigente calabrese e, per certi versi, a quello nazionale, non interessa un fico secco delle sconfitte, dei valori della sinistra, della sofferenza militante e quant’altro. Al massimo sono pronti a strumentalizzare i sentimenti dei militanti ai fini del controllo del giocattolo partito, piccolo o grande che sia il giocattolo a loro importa poco. Alla stretta cerchia di oligarchi democrat, interessa solo avere il controllo dello strumento per dispensare candidature, seggi e rendite di posizione. Cinismo allo stato puro.
Quello che sta succedendo nel partito democratico calabrese, dunque, è la prova plastica del fatto che, se ci fossero ancora aree di militanti, simpatizzanti, cittadini, i quali credono che ci sia lo spazio per ricostruire una sinistra di valori e di popolo, una sinistra non utopistica ma realmente riformatrice, attenta alle fasce sociali più deboli e non alle banche e ai poteri forti, mai come in questo caso, dovrebbero seriamente riflettere sull’ipotesi radicale di “buttare via l’acqua sporca con tutto il bambino”. Anche perché, lor signori, il “bambino”, inteso come motore di una politica ideale e di valori, lo hanno già ucciso da un pezzo. “Avevamo previsto tutto questo”. Dopo il disastro elettorale, la classe dirigente responsabile della più grande batosta della storia della sinistra italiana eravamo convinti che avrebbe fatto di tutto per sfuggire alle proprie responsabilità, piuttosto che, mettersi da parte e favorire un reale cambiamento. Detto, fatto. Si può tranquillamente affermare che i pupi ballano sulla carcassa del PD, sui sogni infranti dei riformisti calabresi, su coloro che credevano e, magari credono ancora, che una nuova sinistra, un’altra sinistra, possa affermarsi.
E invece no. Dimenticatevi congressi, dibattiti e riflessioni. Nel Pd calabrese bloccheranno tutto. E il disegno si sta compiendo. Obiettivo: arrivare al commissariamento e congelare tutto fino alle prossime regionali.
D’altronde, Ernesto Magorno, all’indomani della debacle, si era affrettato a dichiarare in più occasioni che non c’era bisogno delle sue dimissioni, in quanto, il suo mandato era ampiamente scaduto. Una posizione strumentale. Magorno, invece, avrebbe fatto bene a dimettersi e consentire l’elezione di un reggente fino al congresso, così come è avvenuto a livello nazionale. Ciò, avrebbe avuto un significato importante dal punto di vista simbolico. Il neo senatore Pd, invece, ha annunciato il suo ritiro ma fra 5 anni. L’obiettivo di Magorno e dell’asse che governa il PD in Calabria, invece, chiaramente è altro, ovvero, quello di continuare a governare il processo partitico sia in funzione del rimpasto che, in funzione della prossima scadenza elettorale regionale. Sfumata l’ipotesi di eleggere un segretario conservatore come Battaglia, infatti, a questo punto non rimaneva che imbordellire tutto e arrivare al “commissariamento amico”, quello cioè, che potrebbe scaturire dalla gestione Martina, esponente PD sostenuto dall’asse Adamo/Oliverio. Il resto sono chiacchiere. D’altronde, in aiuto di questa impostazione potrebbe venire lo stesso statuto del partito, l’articolo Articolo 17 (Commissariamenti, scioglimenti e poteri sostitutivi) al primo comma recita:
E’ evidente che si sta procedendo velocemente verso questa soluzione.
Nel contesto di questa strategia, dunque, si inserisce la vicenda del rimpasto della Giunta regionale che, ormai, ha assunto i caratteri di una telenovela sudamericana, e quella del gruppo consiliare DP, vicende apparentemente diverse ma che, riconducono allo stesso disegno e, dunque, allo stesso obiettivo: commissariare tutto. Poi, fra un anno, quando tutto sarà finito, compreso le elezioni regionali, forse, eleggeranno i nuovi organismi. O meglio dalle macerie tenteranno di rieleggerli ma non credeteci molto.
Pasquale Motta