Ebbi modo di scrivere qualche ora prima che si aprissero i seggi elettorali che il problema della disaffezione alla politica, in questa fase, sarebbe stato uno dei problemi che il nuovo Presidente della Giunta regionale avrebbe dovuto mettere in cima alla sua agenda di lavoro. E' evidente che l'astensione dal voto rivela un malessere profondo del corpo elettorale verso la politica in generale, un malessere che, se non viene curato, rischia di produrre guai seri al sistema democratico. La Calabria storicamente non è terra di rivoluzioni, ma terra di ribellioni. Ci sono le condizioni di una ribellione dei calabresi? La mia risposta è che potrebbero esserci, soprattutto, se non si mette mano alla questione del lavoro. Precari senza stipendio da mesi, le poche aziende che sono sul territorio rischiano il tracollo con l'epurazione di migliaia di lavoratori, altrettante rischiano di saltare nel sistema sanitario privato sottoposto ad una politica di irrazionali tagli lineari, altre aziende, quelle che sono in stretta relazione con il pubblico, sono vessate da una burocrazia a volte corrotta, a volte lenta e inconcludente, il comparto agricolo e' al collasso, il sistema turistico idem. Un quadro del genere ogni giorno ci consegna disperazione, famiglie che cominciano ad aver problemi a mettere insieme il pranzo con la cena, migliaia di giovani che sognano solo di andare via per tentare la costruzione di un briciolo di futuro. Con un fardello così pesante sulle spalle, il rischio di un radicale disinteresse dei calabresi verso la competizione elettorale era molto forte e, purtroppo, così è stato. Le condizioni che potevano produrre un certo disinteresse verso il voto dunque, c'erano tutte e, personalmente, le ho percepite fin dall'inizio della campagna elettorale. Tuttavia, e' necessario analizzare il dato di questa astensione, comparandolo con il dato degli ultimi anni. La media della partecipazione al voto in Calabria, infatti, negli ultimi 15 anni, e' stata circa del 60%, costantemente sempre più bassa rispetto al resto del paese, ne consegue che il crollo  dell'elettorato attivo, sia alle europee che alle regionali 2014, nella nostra regione e' stato sostanzialmente tra il 10 e il 15%, tenuto conto dell'astensione fisiologica. Un ulteriore valutazione nella lettura del dato elettorale poi, dovrebbe tener conto della circostanza, oggettiva, del crollo grillino e della crisi del centro destra. Partendo da queste valutazioni, non è difficile comprendere che, ci troviamo di fronte ad una fase certamente preoccupante, ma non siamo di fronte all'apocalisse della politica. I dati elettorali  andrebbero interpretati per quelli che sono, non secondo gli umori catastrofisti a trucco di alcuni analisti. L'analisi post elettorale e' roba seria, non dovrebbe essere affidata alla valutazione del gossip giornalistico salottiero tardo post sessantottino.  In questi ultimi mesi in Calabria, a cominciare dalle primarie,  e' indubbio che un certo giornalismo ha preferito proporre scenari di degrado generalizzato  della politica, retroscenismi inimmaginabili fatti di inciuci, compromessi, trasversalismi. Sacrificando per tutto ciò, il sano giornalismo finalizzato a stimolare il dibattito sui contenuti e sulle problematiche di questa Regione. Per 40 giorni l'unico assillo dei maggiori commentatori politici della nostra regione, e' stato quello di chiedere conto sul presunto inciucio  con i Gentile, piuttosto che, chiedere conto delle proposte che Oliverio intendeva  mettere in campo per fronteggiare la grave crisi occupazionale. Si è discusso molto di più se Oliverio fosse troppo vecchio, troppo comunista, troppo bersaniano, troppo dinosauro, troppo montanaro, poco renziano, troppo cosentino, invece che di proposte su come combattere la povertà, su come rilanciare il turismo, su cosa mettere in campo per affermare lo sviluppo ecc. Onestamente, ritengo questo modo d'intendere l'informazione  ridicolo e per certi aspetti noioso, tra l'altro, spesso ha portato i suoi protagonisti alla bancarotta  delle previsioni politiche . Chi come lo scrivente non si è mai allineato a questa impostazione, spesso è stato accusato di appartenere alla stampa di regime, o peggio, di fare l'apologia del vincitore. Lo voglio dire con franchezza: questo giornalismo da "Bagaglino", onestamente, ci ha rotto i cabassisi, perché  non solo è irrispettoso verso tanti colleghi, ma diventa addirittura tragicomico, quando viene motivato dal possesso di una presunta virtù di  coscienza critica, di cui, gli altri giornalisti sarebbero privi. Personalmente appartengo ad una scuola di pensiero nella quale la coscienza critica si esercita in presenza di argomenti da criticare, la stessa scuola che, allo stesso tempo, ci ha insegnato a fare autocritica in presenza di errori di valutazione. Un'autocritica, che ci avrebbe fatto piacere sentire  anche da coloro che,  dopo aver delineato per mesi improbabili "accurduni" di Oliverio, oggi, dicessero semplicemente: abbiamo sbagliato. Ora è iniziato un nuovo nuovo leit motiv: a chi addebitare la responsabilità dell'astensionismo? E' la "vendetta dei calabresi", sostengono alcuni, altri invece, parlano di "scelta ponderata dei cittadini calabresi". E mentre ci propinano nuovi orizzonti di contestazione al potere, nessuno di costoro ha l'onestà intellettuale di fare la giusta autocritica, perlomeno  per non averne azzeccato una e sottolineo una, in questi mesi. La melassa, e' sempre la stessa: trovare a tutti i costi argomenti, anche inesistenti, per sciorinare la solita  retorica antipolitica. Personalmente, non mi sono mai iscritto a questi cori, anzi, sostengo in maniera convinta il concetto liberale, nel quale si afferma che, in una democrazia perde chi non partecipa e non viceversa. La democrazia ha limiti e difetti, ma come sosteneva Bobbio, e' il miglior sistema che conosco per affermare la libertà.


Le criminalizzazione generalizzata della classe politica, l'ostentazione della critica a tutti i costi,  anche in assenza di validi argomenti, sono sempre un errore e non aiutano a costruire una visione equilibrata del punto di vista politico, anzi, contribuiscono alla crescita di quel populismo inconcludente che dura giusto il tempo di una stagione politica, come il movimento grillino insegna.


Pasquale Motta