Mario Occhiuto chiede 100 mila euro di danni morali per il nostro articolo. La querela non costa nulla, specie in campagna elettorale. La verità, al contrario, costa moltissimo.
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Capisci che tutto è finito quando politici che si atteggiano a politici di rango deviano abilmente il significato delle cose. Tipo che fare il giornalista è un affare al miglior offerente e non una realtà indipendente. Già solo per questa becera convinzione espressa sui social Mario Occhiuto meriterebbe il Tapiro di Striscia la Notizia. La difesa di Occhiuto, nel post-articolo pseudo, secondo lui, diffamatorio è in totale cattiva coscienza. Il provincialismo passa proprio dalla mancanza di onestà intellettuale. Difendersi dicendo “quel giornalista è amico di…” o “quella testata fa pubblicità a…”, quindi “scrivono contro di me per…”, la dice lunga sulla caratura del personaggio. Nel primo caso perché si dimentica che le notizie sono notizie e non hanno tempi e modi giusti o sbagliati; nel secondo perché è altamente vergognoso sostenere la tesi secondo la quale chi compra uno spazio libero su un giornale debba necessariamente pretendere in cambio la fedeltà editoriale. Questa è diffamazione, semmai! Facile, troppo facile. Specie per Mario Occhiuto, che fa sapere di voler querelare con tanto di risarcimento il sottoscritto, il direttore Pasquale Motta e l'editore (en-plein da 100mila euro) per un fatto scritto, letto e confermato da carteggi amministrativi. Un fatto impaginato senza ricami soliti di natura scoopista e populista, ma con una breve disamina iniziale e una fedeltà totale alla questione, con un accenno di competenza tecnica.
Si sa, la campagna elettorale è sempre un brutto momento, perché fa capire bene quale sia la vera natura umana delle persone. Occhiuto si sente vittima sacrificale. Una tattica, una strategia vecchia come il cucco. Raggirare le questione e porsi in una posizione apparentemente svantaggiata, specie per un uomo che solo pochi mesi fa è stato sfiduciato dalla sua stessa maggioranza, non è saggezza politica o astuzia. Neanche farsi le foto con le mamme nel giorno della "Festa della mamma" lo è. Il classico rapporto tra “Apocalittici e Integrati” di Echiana memoria, laddove tra gli aspetti negativi della cultura di massa applicata alla persuasività dei mass media c’è sicuramente tutta l’anima Marioocchiutana. Nel suo caso, infatti, la mitizzazione del proprio personaggio è accelerata da una convinzione fin troppo visibile: cerca di andare incontro al gusto medio evitando l'originalità. Foto con bambini, con mamme, con gente, tra rendering di possibili opere di pregio e opere in itinere volute e pensate da lui. La gente, secondo questo modo di politicare, viene vista come un soggetto passivo inconscio, ama il conformismo di costumi, valori e principi sociali e subisce tale cultura. Lui incassa “like” e apparenze varie, arrogandosi pertanto il diritto di sentirsi “figo”. Il padre della patria. La patria che puzza fame e sogna ancora un futuro meno incerto.
La realtà dei fatti, che evidentemente non interessa a nessuno, diventa pertanto una mera questione strumentale, da agitare a piacimento. Tanto per il Pd, quanto per Occhiuto. Cioè, in tutta questa brutta pagina di “cazzi e mazzi” alla calabrese, ciò che emerge è la solita guerra tra bande, dove tutto è banalizzato, ridicolizzato, limitato ad un fatto personale. Invece no. O almeno non nel nostro caso, che di mestiere facciamo giornalismo. Piaccia o non piaccia. No perché Mario Occhiuto continua a dire che è impossibile che Equitalia possa pignorare presso terzi i suoi debiti privati o che peggio ancora la sua” indennitá”, solo perché si chiama tale, non debba provenire da casse pubbliche. Senza contare la storiella oggetto di indagine su quei tanti appalti, anzi appaltini (perché è furbo l'amico) dati in affidamento diretto ad altrettante ditte. Rendering (anzi, finti progetti di plastica pre-elettorali) compresi.
Ecco, il discorso è semplice: Occhiù ti ringraziamo per il tempo dedicatoci, ma noi non siamo Iacchitè.