I miei figli devono rientrare a scuola. E nel sostenere ciò non mi ritengo meno responsabile di quanti, autodefinendosi «Genitori responsabili», hanno proposto addirittura una petizione affinché dopo l’Epifania i cancelli restino serrati, le classi deserte e si continui con la didattica a distanza, giudicando insussistenti le condizioni minime di sicurezza per i nostri bambini. Pretendo che i miei figli rientrino a scuola e che lo facciano in assoluta sicurezza, protetti da un sistema che non può abdicare oltre alle proprie responsabilità.

Ma quale dad?

Lo pretendo perché la didattica a distanza è un palliativo, al limite qualcosa di complementare, ma non è Scuola. Non è “la Scuola”. Mio figlio non ha vissuto metà della sua quinta elementare e non sta vivendo il suo primo anno di scuola media. Così mia figlia, la cui prima elementare si riduce ad un freddo display. Avevano tutto il tempo, le istituzioni preposte, per adottare i correttivi necessari ed assicurare il diritto all’istruzione ai nostri bambini. Istruzione che è didattica, educazione, socializzazione, crescita umana. Sapevano che ci sarebbe stata una seconda ondata di contagi in autunno, al rientro dalle vacanze estive. E cos’hanno fatto? Niente. E con il secondo lockdown, consapevoli che i ricongiungimenti familiari del periodo natalizio avrebbero modificato la geografia del contagio, vanificando le ulteriori restrizioni che hanno rimesso in ginocchio l’economia, cos’hanno fatto? Niente.

Il peso sulle famiglie

La verità è che al sistema ha fatto comodo scaricare sulle famiglie il peso della propria incapacità o della propria indolenza. Ha fatto comodo approfittare della dedizione di mamme, soprattutto, e papà, chiamati ad affiancare e, talora, perfino a sostituirsi gli insegnanti. Sacrifici enormi, giornate intere spese per la didattica a distanza, i compiti, ad ingegnarsi chissà cosa per assicurare un minimo di qualità al tempo dei bambini costretti ad uno stato di detenzione. E se i genitori lavorano entrambi? Se non ci fossero stati i loro nonni? Sacrifici enormi utili però solo a tamponare, ma insufficienti ad assicurare ai nostri bambini quella formazione, culturale, ma soprattutto umana, che ti sa dare solo la Scuola vera, quella dei docenti che ti chiamano alla cattedra e t’interrogano, ti mettono la nota sul registro ed il voto sul quaderno, dei compagni, dei banchi di scribacchiare (sì, lo so, non si fa), della ricreazione, della campanella che sa di liberazione.

Anche io temo il Covid

Le nostre scuole non sono sicure? No, non lo sono. Per essere sicure andrebbero rase al suolo e ricostruite tutte. Ma non è possibile. Il Covid non mi spaventa? Sì che mi spaventa. Io ed i miei colleghi l’abbiamo raccontato il Covid, in tutte le sue sfumature e non da dietro una scrivania o parlando al telefono. Sono stato perfino nelle aree Covid degli obitori. Ho documentato cosa significa morire di Covid in un ospedale, sigillati in una bara senza che nessuno dei propri cari possa dirti addio, accompagnati in un cimitero da moderni monatti vestiti di bianco, senza funerale, una benedizione e poi tumulati nel silenzio. Ho raccontato cosa succede nei reparti: non quelli ultramoderni del nord Italia, ma i nostri, in ospedali che cadono a pezzi.

Peggio il terremoto

Sì, mi spaventa il Covid. Non sono ipocondriaco ma sto attento: tengo le distanze, indosso la mascherina, mi igienizzo. E se venisse un terremoto? Non c’è mascherina che tenga. Eppure le nostre sono le scuole più insicure d’Europa in una delle aree più critiche del mondo per sismicità. Per questo eravamo irresponsabili prima e saremo irresponsabili anche dopo il Covid, quando li rimanderemo a scuola? E se venisse un’alluvione? Lo scorso anno dovetti fare la spola portando i miei figli e altri bambini in braccio e sulle spalle, camminando nell’acqua fin sopra le ginocchia, dall’ingresso di scuola ai parcheggi. Eppure c’era stato solo un acquazzone. E se ci fosse un’alluvione come quella del 3 luglio 2006? Eravamo irresponsabili prima e saremo irresponsabili anche dopo il Covid quando li rimanderemo a scuola?

Sicurezza e responsabilità

Il mio lavoro è documentare. E vi assicuro che il luogo nel quale vorrei non si trovassero mai i miei bambini se ci fosse un terremoto, quello è la scuola. Ma la stessa scuola, oltre le pareti di casa mia, è il luogo al quale affiderei i miei figli affinché siano protetti dal Covid. Sì, è vero, c’è anche la mia preside tra i dirigenti che ritengono sia meglio continuare con la didattica a distanza ed evitare il ritorno in aula: è una grossa responsabilità che i presidi hanno e sono più che comprensibili le loro riserve. Al contempo, però, io ho visto, apprezzato e ammirato, lo scrupolo col quale la mia scuola ha accolto bambini e ragazzi all’inizio di questo anno scolastico. C’erano stati anche degli alunni che all’esterno avevano contratto il virus, ma nessuno dei loro compagni, pur avendo con loro condiviso il tempo e lo spazio dell’aula, si sono infettati. I disagi sono stati intollerabili quando si è reso necessario sottoporre a tampone intere classi. È lì che il sistema si è rivelato fallace ed indolente, esasperando ulteriormente i bambini e le famiglie a file ed attese torturanti. Lì la colpa è della sanità.

Una risposta dalle istituzioni

E così torniamo al punto di partenza: l’inefficienza del sistema. Già, ma cos’è il sistema? Il Ministero, oltre i banchi a rotelle ed altre castronerie, cosa ha fatto e cosa intende fare per consentire ai nostri figli di tornare a scuola? La Regione? Dov’è la Regione? Cos’è la Regione? Sandra Savaglio, l’astrofisica da copertina che doveva fare sfracelli alla Cultura, dov’è stata e dov’è? Il presidente facente funzioni Nino Spirlì, «artista e uomo di cultura» che rivendica il diritto di chiamare «negri» i neri e «froci» gli omosessuali, che ha da dire? E il presidente della Provincia, il sindaco?

I miei figli devono tornare a scuola. E l’unica petizione che sono disposto a firmare è quella che inchioda il sistema, ovvero le istituzioni, alle loro responsabilità. A me non importa che i bambini siano promossi. A me importa che imparino e crescano. Al rientro da scuola, resteranno a casa. Già, io la penso così: meglio tenerli a scuola e riportarli a casa, che tenerli a casa per fargli fare scuola per poi lasciargli facoltà d’assembramento in libera uscita.