VIDEO | Esposti al pubblico fino al 16 dicembre verbali e atti processuali che compongono il mosaico di un dramma senza fine: dal passato tornano alla luce testimonianze vere di abusi e maltrattamenti, di vittime messe a tacere dopo aver trovato invano il coraggio della denuncia
Tutti gli articoli di Attualità
L’Archivio di Stato di Cosenza urla il suo “no” alla violenza sulle donne e lo fa con una mostra che si intitola “Mai più sottovoce”. Inaugurata in occasione della Giornata internazionale del 25 novembre, rimarrà aperta al pubblico fino al 16 dicembre. «Abbiamo voluto dare il nostro contributo mettendo a disposizione di tutti gli atti conservati qui da noi, storie realmente accadute che danno un segno tangibile di questo dramma», dichiara il direttore Antonio Orsino.
Diversi i documenti esposti nelle teche, testimonianza scritta del lungo cammino di una battaglia ancora tutta da combattere. Verbali di denunce e testimonianze che arrivano dritte allo stomaco, come un pugno ben assestato: storie brutali, in cui a parlare sono spesso le stesse vittime di violenza. Donne abusate e sopraffatte da uomini convinti di esercitare un diritto o certi della propria impunità, in virtù del proprio status sociale ed economico.
Dalle testimonianze emergono particolari cruenti, a volte agghiaccianti. Un intreccio nero che ha colpito prima di tutto le stesse curatrici della mostra: accanto alla vicedirettrice Maria Spadafora, le archiviste Carmela Porco e Francesca Donato. «La lettura di questi documenti ci ha provocato emozioni molto forti, soprattutto per alcune descrizioni molto crude contenute negli atti. Durante l’allestimento tornavamo a casa nervose», racconta Maria Spadafora. Ma a far più male è forse l’epilogo di queste vicende: tutte si concludono infatti con un nulla di fatto.
C’è, per esempio, la storia di un 28enne di San Fili arrestato nel 1906 per aver minacciato di morte e maltrattato la moglie incinta di tre mesi, che per sfuggire alla furia dell’uomo ubriaco e armato di coltello si era lanciata da una finestra a quattro metri di altezza. Una delle tante vicende risolta con il passo indietro della vittima, scampata al pericolo di aborto ma non alla sofferenza che di certo non poteva essere cancellata assieme alla denuncia.
Rosa come Raffaella, giovane di Figline violentata dal parroco del paese e anche lei convinta alla fine dalle “circostanze” a ritirare l’accusa. O come Annina, percossa dal marito per il quale il giudice dichiara il non luogo a procedere in quanto «galantuomo stimato da tutta Acri, caposquadra della milizia».
La mostra sarà visitabile da lunedì a venerdì dalle 9 alle 13, martedì e giovedì anche nel pomeriggio dalle 15 alle 17.