È una diversità profonda quella che ci divide dagli inglesi battuti a Wembley. Un segno distintivo che fa degli italiani un popolo unico e invincibile anche nella sconfitta
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«Siamo fuori di testa, ma diversi da loro». C’è anche la vittoria all’Eurovision dei Maneskin nel trionfo dell’Italia a Wembley, dove la Nazionale azzurra ha conquistato Euro2020, il primo campionato europeo di calcio asincrono, con l’anno nel logo che non corrisponde a quello sul calendario. Causa Covid, come ormai si dice.
Siamo diversi da loro. Una diversità che è condanna e delizia. Peccato originale di un Paese capace di insorgere se nella carbonara “loro” ci mettono la panna, la pancetta invece del guanciale, l’ananas sulla pizza o il cappuccino da sorbire con la pastasciutta e da ordinare a un cameriere troppo abituato all’orrido per replicare.
Siamo diversi da loro, e ne andiamo orgogliosi. Salvo vergognarcene quando pensiamo che “loro” siano avanti, sempre più avanti, così avanti che a volte ci sembra di non scorgerli più.
Eppure li abbiamo visti bene, stavolta. Togliersi dal collo la medaglia del secondo classificato e quello che restava della proverbiale compostezza britannica, con lo sdegno di chi disprezza l’avversario, che pure li ha battuti con le stesse regole e condividendo lo stesso fato fino all’ultima parata.
Li abbiamo visti scatenare l’inferno, abbattere barriere di sicurezza, picchiare, travolgere e calpestare la civiltà del tè delle cinque pur di accedere senza biglietto e senza diritto allo stadio di Londra, tempio del calcio che, invece, noi abbiamo onorato.
Abbiamo visto e letto i loro insulti verso i giocatori di colore della loro nazionale, inglesi come loro, per i rigori sbagliati, mentre noi discutiamo e litighiamo da mesi sul ddl Zan ma, ammettiamolo, senza una sbavatura razzista, con i razzisti e gli omofobi veri (e ce ne sono tanti anche da noi) nascosti dietro i loro eufemismi e giri di parole, schiacciati dal peso della loro inferiorità etica.
Siamo diversi da loro perché abbiamo una canzone di De Gregori che recita: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia”. Non certo dal colore della pelle.
Siamo diversi da loro, che hanno posti riservati ai sovrani – principe, principessa e principino – che si defilano come ladri alla fine della partita per non premiare i mangiaspaghetti vincitori e stringere la mano a Mattarella, l’unico vero “inglese” in tribuna d’onore.
Siamo diversi da loro, perché l’Europa unita l’abbiamo fondata, costruita e non abbandonata. L’abbiamo criticata, certo, e continuiamo a farlo. Ma non ci pensiamo proprio ad andarcene, in fondo convinti che insieme sia sempre meglio che da soli. Così, Italexit è una parola buona solo per i titoli di giornale e per gli slogan di chi cerca di pescare un po’ di voti tra i più spaventati.
Siamo diversi da loro, e lo abbiamo dimostrato. Non perché abbiamo vinto, ma perché abbiamo vinto nello stesso modo in cui spesso perdiamo: senza drammi. Forti di una storia che ha fatto la Storia per millenni. Forti di un passato che annichilisce qualunque straniero in sandali e calzini bianchi alzi gli occhi verso il David di Michelangelo o la maestosità del Colosseo.
Dunque, zitti e buoni, direbbero i Maneskin. Tenetevi il vostro Pil, la vostra illusoria superiorità, la vostra disperazione omologante rintanata in case a schiera di mattoni rossi. Noi continueremo a vincere e a perdere, ognuno a modo suo, “ognuno col suo viaggio, ognuno diverso”. E in questa diversità, forse, più simili e uniti di quanto non lo siate voi.
degirolamo@lactv.it