Opere d’arte scambiate con armi. È Gioia Tauro la base di smistamento di reperti archeologici di inestimabile valore. «Le armi arrivano dalla Moldavia e dall’Ucraina attraverso la mafia russa. Mediatori e venditori appartengono alle famiglie della ’ndrangheta di Lamezia. E alla camorra campana. Il trasporto è assicurato dalla criminalità cinese con le loro innumerevoli navi e container».

 

L'inchiesta realizzata da Domenico Quirico, e pubblicata da "La Stampa", svela il giro di affari illegale dell'asse Isis-‘ndrangheta. Gli acquirenti sono soprattutto cinesi, russi, arabi disposti a spendere milioni per un reperto depredate dalle città devastate dall'Isis. Dietro ci sarebbe un unico burattinaio: i servizi russi.

 

«Racconto il mio incontro – scrive Quirico – a due consulenti internazionali in materia di sicurezza, Shawn Winter, militare proveniente dalle forze armate degli Stati Uniti e l’ italiano Mario Scaramella. Che mi propongono una pista che porta a un burattinaio ancor più sconcertante: il traffico dei reperti sarebbe in realtà diretto dai Servizi russi, eredi del Kgb. Un altro indizio che si legherebbe, nell’organigramma del crimine, a quelli dei ceceni e degli uzbechi di cui ci sono prove siano passati per campi di addestramento russi, diventati poi comandanti di formazioni jihadiste. O la presenza tra i fondatori dell’Isis di alti ufficiali del dissolto esercito di Saddam Hussein addestrati dai sovietici.

 

L’Isis ha la possibilità di piegare e usare formazioni criminali come camorra e ‘ndrangheta per semplici ruoli gregari? E di montare una organizzazione internazionale in grado si superare controlli e repressione del traffico su scala internazionale affidati a corpi di grande valore e esperienza come i carabinieri italiani? Di entrare su un mercato, quello dei reperti archeologici, con gerarchie e meccanismi e regole molto rigide e consolidate? Solo uno Stato, una superpotenza è in grado di muovere un traffico così sofisticato, ramificato e «colto», non certo terroristi impegnati in una guerra senza quartiere.


Mi mostrano un documento, inedito finora: il verbale originale degli interrogatori, nel 2005, del colonnello del Kgb Alexandr Litvinienko, grande custode dei segreti russi. Litvinienko spiegò a Scaramella come il Kgb rifornisse un museo segreto nel centro di Mosca, non lontano dal Boradinskaya Panorama, dove erano riuniti reperti di incalcolabile valore razziati in Medio Oriente e pagati con armi ai palestinesi. Un museo che non poteva organizzare visite e mostre perché i proprietari avrebbero riconosciuto i loro oggetti. Era riservato alla nomenklatura sovietica. Qualche oggetto ogni tanto veniva prelevato: un regalo alle mogli dei dirigenti supremi».