«Domenica invitavo a non 'farci rubare la gioia'. Ribadisco l'invito innanzitutto alla comunità parrocchiale di Bonifati che ringrazio per la vicinanza e solidarietà espressa in tutti i modi. Persone generose, dalla fede autentica che sa andare oltre i soliti stereotipi di una religiosità intrappolata da percorsi processionali o di come le statue debbano affacciarsi alle finestre delle case». È quanto afferma in una nota don Guido Quintieri, parroco di Bonifati, vittima di un'aggressione sul sagrato della sua chiesa al termine della messa domenicale.

«Una comunità che sa comprendere le fragilità di chi, purtroppo - aggiunge il sacerdote - si è lasciato vincere dalle dipendenze, per questo ciò che conta, oltre alla denuncia di questi mali come ricordavo il Venerdì Santo, per chi crede è la preghiera, prima fra tutte l'Eucarestia che intendo celebrare proprio per colui che non consapevole del gesto si è lasciato vincere dalla violenza causata da questi mali endemici. Probabilmente la reazione violenta nei miei confronti sarà scaturita dal mancato affaccio della statua alla finestra della propria abitazione: personalmente non vado a rintracciarne i motivi e invito a fare altrettanto. Abbiamo bisogno di gesti concreti di speranza, perché essa 'va organizzata' come ci ha insegnato Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo che stiamo vivendo».

Per il parroco «il primo gesto concreto per organizzarla è il perdono. Non dobbiamo avere paura di nascondere le nostre fragilità per timore che venga rovinata la reputazione di un luogo, ma saperle riconoscere e cercare di curarle con l'impegno di tutti, nessuno escluso. Una comunità esente da fragilità e piaghe non esiste.Voglio ringraziare tutti per le espressioni di solidarietà e di vicinanza, primo fra tutti il mio vescovo Stefano e l'intero presbiterio diocesano. Vi assicuro che sentire la vicinanza di tanti amici e conoscenti vicini e lontani mi ha aiutato molto».

Don Guido invita la stampa «a non cedere - dice - alla tentazione di strumentalizzare questi fatti di cronaca semplicemente perché attirano l'attenzione dei lettori. Sono stato educato e formato alla bellezza e sono anch'io fermamente persuaso che organizzare la speranza significa anche riconoscere e condividere il bene ed il bello, perché solo quando questo farà più notizia della violenza ci ritroveremo a sperimentare una comunità più bella e fraterna».