Il Presidente della Repubblica porta sulle spalle il peso di una storia familiare segnata dal sacrificio e dalla lotta per la legalità. Oggi, in un'Italia smarrita e in un mondo in tempesta, deve scegliere tra la prudenza diplomatica e la fermezza dei principi
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Sergio Mattarella è un uomo dal passo leggero, di una compostezza antica, educata dalla sofferenza.
La sua storia personale è segnata da un dolore irrimediabile, l’omicidio del fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, assassinato a Palermo il 6 Gennaio del 1980. Un trauma che diventa coscienza politica, un lutto che si fa responsabilità.
Piersanti Mattarella non si piegò mai. Voleva spezzare il legame tra politica e mafia, unire la Sicilia alla modernità e alla trasparenza, ma fu freddato davanti alla moglie e ai figli, nell’auto che lo portava alla messa dell'Epifania. Sapeva che la sua vita era in pericolo, anche prima di trovarsi con l'ultimo sospiro di vita tra le braccia di suo fratello, ma non si ritirò, non indietreggiò mai, non smorzò le parole, non cercò un conveniente compromesso all'italiana, ma piuttosto inseguiva e sognava un Compromesso Storico Siciliano. Affrontò il suo destino con un coraggio che oggi sembra irripetibile.
Oggi, in questo sfacelo senza redenzione, mentre il mondo si dimena nel caos di nuovi e precari equilibri geopolitici, e in questa Italia smarrita nello squallore della sua mediocrità politica, spetta a Sergio Mattarella il compito più arduo: ripercorrere la strada segnata da Piersanti, quella strada che sa di solitudine e di coraggio, di silenzi ostili e di parole scomode.
Ma la storia non è mai un sentiero lineare, né chiaro. Le orme di chi ha osato prima si confondono nella polvere del tempo, mentre il vento della riorganizzazione globale spazza via certezze e confini. Saprà, lui, resistere alla tempesta che spezza, al gelo che isola, al buio che avanza?
Per molte volte, in questi anni, il Presidente è stato una scialuppa di salvataggio in un mare in burrasca. Oggi però l’Italia e l’Europa attraversano tempeste politiche e morali che richiedono un passo diverso.
Non è il tempo della prudenza diplomatica, ma della fermezza dei principi.
Non basta essere un testimone della storia, occorre diventare fino in fondo il punto di riferimento per una nazione smarrita. E ora, caro Presidente, è il momento di elevarsi più delle altre volte al di sopra della mediocrità politica che ci rappresenta, di far sentire la voce di un pensiero autorevole, libero e indipendente.
L’Italia non ha bisogno di figure che si lasciano ingabbiare dai compromessi, ma di una guida che sappia parlare con la dignità della verità e la forza della coerenza. Non basta la memoria, occorre il coraggio.
Il coraggio di guardare totalmente in faccia la verità sulla Russia di Vladimir Putin. Mattarella ha paragonato l’invasione dell’Ucraina al Terzo Reich, e la reazione russa è stata immediata, scomposta, isterica. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, lo ha accusato di blasfemia storica, di tradimento della memoria, di dimenticare il passato dell’Italia fascista. Ma la verità non si cancella con la propaganda.
Sì, l’Italia ha marciato accanto al nazismo, ha condiviso la sua brutalità, ha portato guerra e distruzione in Russia. Ricordarlo non è un'infamia, è un dovere. La Russia di oggi non è l’Unione Sovietica che un tempo si batteva per la libertà dell’Europa. È piuttosto un’ ombra deformata di quella che emerse nel dopoguerra, ma ancora più meschina, più ottusa, più corrotta. Un potere che non libera, ma opprime; che non difende, ma schiaccia; che non costruisce, ma annienta.
La Russia oggi è il fascismo nel suo volto più classico, più essenziale. Non il nazismo totalizzante e lucidamente distruttivo, ma il fascismo cialtrone, brutale, provinciale. Un potere che uccide gli oppositori nelle prigioni gelide, che avvelena dissidenti come Alexei Navalny, che spegne ogni voce di dissenso con la violenza burocratica della repressione.
Navalny non è morto di freddo. È stato ammazzato. Avvelenato. Imprigionato. Torturato. Infine stroncato dall’ingranaggio crudele di un regime che non tollera il dissenso. Un altro uomo che poteva avere una vita altrove, che sapeva a cosa andava incontro, ma che non si è tirato indietro. Ha riso in faccia ai suoi aguzzini. Ha sopportato le sofferenze. Ha mantenuto lo sguardo fermo. È morto come un martire in un gulag moderno, mentre il mondo guardava altrove. E proprio per questo, Presidente, la condanna della Russia non può essere riferita soltanto in relazione alla guerra in Ucraina.
Non può essere figlia del nuovo scenario geopolitico. L'Italia deve scegliere da che parte stare, e stare dalla parte della pace e della verità significa schierarsi senza esitazione con chi muore in nome della libertà.
Eppure, mentre la Russia viene trattata come l’epitome del male assoluto, Israele riceve un trattamento diverso, più sfumato, più ambiguo. Qui le parole si fanno più prudenti, le condanne più misurate, le alleanze più solide.
Perché in questa Europa servile, prona ai voleri d’oltreoceano, l’indignazione si dosa con precisione chirurgica. L’invasione russa dell’Ucraina è un crimine imperdonabile, ma l’assedio di Gaza è una questione complessa. Putin è un dittatore sanguinario, Netanyahu è un leader impegnato nella sicurezza nazionale. I massacri degli uni sono barbarie, quelli degli altri incidenti inevitabili. Due pesi e due misure, come sempre.
Sergio Mattarella, nella sua lucidità composta, e con la sua storia non può non credere al fatto che non può esistere pace senza coerenza morale. Che non si può condannare l’invasione dell’Ucraina e restare in silenzio davanti a una striscia di terra trasformata in un cimitero a cielo aperto. Che non si può essere europei solo quando fa comodo, solo quando l’America chiama, solo quando l’indignazione è selettiva e politicamente conveniente.
L’Italia è un Paese marginale, ormai. Un Paese che si affanna a cercare un posto a tavola, ma che finisce sempre più spesso relegato in cucina. La scialuppa di salvataggio può ancora tenere il mare, ma solo se il timoniere sceglie di affrontare le onde, e non di lasciarsi trascinare dalla corrente.
Se nessuno parla, l'ultimo suono che sentiremo sarà il silenzio degli abissi infondo al mare.