Marco è un docente di scuola media che passa da un incarico all’altro in piccoli centri dove il disagio sociale e la dispersione scolastica sono un dramma silenzioso: «Ogni mattina vesto i panni del carabiniere per portare i ragazzi in classe. I miei colleghi sono tutti anziani e demotivati, sono l’unico che può assumersi impegni particolarmente gravosi»
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Quanto può diventare difficile insegnare in Calabria, in quei lembi sperduti della nostra regione, dimenticati da Dio, dagli uomini e soprattutto dallo Stato? E quali sono i problemi che gravano come macigni insormontabili sulle carriere di quei giovani che ancora credono (e vogliono continuare a credere) in ciò che fanno?
Tanta passione, mille incognite sul futuro
Marco, lo chiameremo così per tutelare la sua privacy ed il suo percorso professionale dalle ritorsioni che in Calabria sono sempre dietro l’angolo, ha il coraggio di raccontarci tutto. Marco è un giovane laureato calabrese, insegnate di scuola media per vocazione ma precario, che si barcamena da qualche anno tra supplenze ed altri lavori saltuari che gli consentono a mala pena di sbarcare il lunario. Davanti a sé ha mille incognite alimentate da un futuro incerto e da quello stesso precariato eterno che si trasforma in uno stato mentale, la preoccupazione di non riuscire a poter mettere su famiglia, di ritrovarsi senza una pensione che gli consenta di non vivere di stenti anche negli ultimi anni della sua esistenza.
Precario ma insostituibile
Ogni mattina sale sulla sua auto e si avvia verso l’entroterra calabrese, in direzione di un comune che per ovvie ragioni non sveleremo. Lì Marco si sostituisce a tutti: al personale di segreteria, ai collaboratori, finanche al dirigente scolastico di cui, pur da precario, ne diviene presto “vicario”, perché è l’unico docente in servizio in quel plesso scolastico che, per la giovane età, abbia ancora sufficienti motivazioni e resistenza fisica. Marco è costretto tutti i giorni a colmare i vuoti lasciati dallo Stato che – anno dopo anno – indietreggia sempre di più.
«In effetti è proprio così. Ogni mattina – esordisce – sono costretto ad andare a bussare alle porte di studenti che si perdono tra i rivoli del paese, e per i più svariati motivi, piuttosto che venire a scuola».
Colleghi anziani e demotivati
I problemi sono tanti. «L’età media degli insegnanti è uno dei più gravosi – racconta Marco a LaC News 24 – perché in Italia l’età media è di 55 anni, una delle più alte d’Europa, al cospetto della paga più bassa del Continente. Se nel nostro Paese si guadagnano mediamente 1.600 euro al mese, in Europa si superano abbondantemente i 2.000. Spesso non si dice che l’insegnante, per chi decide di farlo con dedizione e passione, è una professione usurante, ti risucchia e ti assorbe, ti fagocita nel vero senso della parola. Per diversi giorni alla settimana entro a scuola alle 8 e ne esco alle 17, alle 18, alle 19. Pur essendo un precario sono stato “promosso” a vicario dalla dirigente scolastica».
«Ti ritrovi con colleghi di 55, 60 anni, nella stragrande maggioranza donne, che non riescono più a gestire una classe perché sono esauste e non hanno più alcuno stimolo professionale. Il problema – rivela Marco con un pizzico di pudore – è che in questo lavoro servirebbero le quote azzurre. Nei piccoli paesi è scomparsa la figura del maestro delle scuole elementari, delle medie. Eppure, in certi contesti, la presenza di una figura maschile sarebbe molto funzionale alle necessità non soltanto didattiche ma anche organizzative».
Dispersione scolastica problema atavico
La dispersione scolastica è un’altra delle grandi questioni. «Nelle zone disagiate – rimarca duramente – non esiste lo Stato e la dispersione scolastica pesa. I ragazzi che non frequentano sono sempre di più, seppure non abbiano superato i 16 anni che è il limite dell’obbligo scolastico. Spesso sono costretto a vestirmi di autorità e ad andare a bussare a casa dei ragazzi. A volte va bene, altre volte no».
Marco insegna da qualche anno, seppur saltuariamente. Quando va bene fa il supplente per qualche mese alle medie, o per meglio dire alle scuole secondarie di primo grado. In questi anni ha vissuto sempre esperienze difficili, anche turbolente.
Plessi isolati e sparsi sul territorio
«Un altro limite – ammette – è la distanza tra noi insegnanti ed il dirigente scolastico. Mi spiego meglio. Quando ci rendiamo conto di essere di fronte a problemi di dispersione scolastica, dobbiamo comunicarlo al dirigente che a sua volta si mette prima in contatto con la famiglia e se non riesce a cavare un ragno dal buco si interfaccia poi con le forze dell’ordine, il Comune, i servizi sociali. Ma un dirigente che oggi deve amministrare cinque, sei plessi, distanti tra loro anche un’ora di auto e non è fisicamente presente, che problemi volete possa risolvere con la burocrazia tentacolare contro cui ci dobbiamo scontrare?»
Famiglie difficili
Il più grande dei vuoti è però la famiglia. «In ogni classe – confida mestamente – quasi il 50% degli alunni, degli studenti, vive situazioni disagiate, genitori con problemi, spesso divorziati o separati, e questo non accade solo nelle piccole comunità interne calabresi ma anche nelle realtà ben più urbanizzate. Tutto questo i ragazzi lo vivono come un tradimento da parte degli adulti e così si innesca quel meccanismo di rifiuto dell’autorità e quindi anche del prof. Se in questi anni si sta scatenando questa grande repulsione che sfocia anche in fatti di violenza contro gli insegnanti, il problema va ricercato nell’assenza della famiglia. Eppure – rivela Marco – si tratta di ragazzi molto più intelligenti, anche intuitivi, maliziosi e più furbi, con capacità e potenzialità superiori a quelli della mia generazione o delle precedenti».
«Allo Stato conviene così»
«Tutto nasce dalla precarietà, in famiglia, a lavoro. La mancanza di solidità affettiva – insiste Marco – genera problemi e dove lo Stato arretra, quei problemi si acuiscono. Lo Stato non vuole più assumere perché gli conviene che un prof sia precario a vita, anche a discapito della qualità. Così disinveste nella qualità e nelle future pensioni. Allo Stato, insomma, conviene mantenere questa condizione di precarietà infinita ed i numeri sono drammatici. L’Europa ha programmato tutta una serie di investimenti attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma li ha vincolati all’assunzione di 70mila docenti entro il 2024, un numero razionalmente impossibile da raggiungere nel nostro Paese».
«Il dimensionamento scolastico è il colpo di grazia»
Ed il dimensionamento scolastico di cui tanto si parla in queste settimane, pur sempre dettato da Bruxelles, «sarà la mazzata definitiva assestata tra capo e collo della scuola perché, soprattutto al Sud, funzionerà sempre peggio, sacrificata sull’altare di numeri da incasellare senza alcun principio di equità. L’Italia del Sud non funziona come la Sassonia, la Normandia o la Danimarca. Da noi i grandi istituti figli del dimensionamento fagociteranno le risorse umane dei plessi più piccoli di periferia. E con un dirigente scolastico che sarà costretto a fare la pallina di un flipper tra un plesso ed un altro, distanti anche molti chilometri, che nell’entroterra sono spesso di montagna».
Marco, però, continuare a coltivare i suoi sogni che, in fin dei conti non sono poi così strampalati. Gli basterebbe superare il precariato, firmare un contratto a tempo indeterminato e spendersi nella sua personale mission educativa per essere felice.