Pomeriggio di riflessioni sulla mentalità mafiosa filtrata negli strati intermedi della società. Location la libreria Ubik a Catanzaro, quartiere Lido, dove la saletta degli incontri culturali ha ospitato Andrea Apollonio, sostituto procuratore a Patti (Messina), autore del suo nuovo libro "L'inferno non prevarrà". Non si tratta di un libro sulla mafia ma di un romanzo permeato di cultura mafiosa con cui il magistrato pugliese (di Lecce) espone fatti e personaggi senza mai pescare negli ambiti giudiziari di cui la sua professione si nutre ogni giorno. Reati e mentalità che rispecchiano fedelmente una realtà in cui il lettore si immerge traendo le  conclusioni
senza che esse siano scritte.

Mafia e borghesia

«L'inferno richiama una frase del libro che è anche una citazione, ma direi più che altro un omaggio a Leonardo Sciascia - afferma il giovane magistrato - in effetti c'è molta religione anche se l'inferno citato è più che altro mafioso.  Quell'inferno che la borghesia mafiosa rappresenta proprio perché non è palpabile, non è tangibile e troppo spesso diventa appunto un logo metafisico. Io spero che l'inferno alla fine non prevalga, spero che la borghesia mafiosa che oggi è la reale evoluzione del fenomeno mafioso a un certo punto riesca ad essere scompaginata. Ovviamente - conclude - il lavoro deve essere comune non solo della magistratura, anche soprattutto della società civile».

Scrittura spumeggiante

Moderata dal giornalista LaC News24 Antonio Alizzi, la presentazione del volume edito dalla case calabrese Rubbettino è stata impreziosita dalla presenza di un altro magistrato, pugliese come l'autore, ed autorevole rappresentante della categoria in Calabria. «Qualcuno ha dei talenti in più o oltre che fare il bravo magistrato, sa anche scrivere molto ma molto bene - ha detto Giuseppe Capoccia, procuratore della Repubblica a Crotone -  Il libro di Andrea (Apollonio) si apprezza anche per la semplice grande capacità di scrittura, con una aggettivazione spumeggiante e questa capacità di disegnare i personaggi, nella loro profondità psicologica, cosa che spesso nei processi non si può fare».