Era il 12 giugno 1989 quando Mamma Coraggio, come le donne calabresi l'avevano battezzata, si incatenava nella piazza di Locri per chiedere la liberazione del figlio Cesare, neppure ventenne, rapito a Pavia dall’anonima sequestri calabrese nel gennaio del 1988. Uno dei più lunghi sequestri di persona avvenuti in Italia, durato 743 giorni.

Mamma Coraggio era Angela (all’anagrafe Angiolina) Montagna Casella, una donna esile ma tenace. La sua tempra di spirito sorprendente al punto da sciogliere l’iniziale diffidenza delle altre donne e delle altre madri in affettuosi abbracci, in un’accorata vicinanza, in una voce che si è levata unanime per le strade. Quella battaglia solitaria diventò di tutte le madri della Locride e oltre.

L’Anonima sequestri calabrese

Un gesto dirompente che, dopo il sequestro di Paul Getty nel 1973, accese nuovamente l’interesse dei media per i sequestri. Tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta con il picco tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, furono 694 i sequestri con un giro d’affari di 800 miliardi di vecchie lire, di cui oltre la metà appannaggio della ‘ndrangheta.

Angela Casella all’esilio forzato del figlio Cesare rispose con un dirompente gesto di ribellione civile. Negli anni duri di quella ‘ndrangheta che neppure si nominava, nelle piazze di Platì, Ciminà e San Luca, non ebbe a temere l’omertà. Non avrebbe rinunciato a lottare per riportare suo figlio a casa. Ma ancora avrebbe dovuto attendere.

Cesare Casella venne rilasciato a Natile di Careri nel reggino, il 30 gennaio 1990, dopo 743 giorni di prigionia, oltre due anni. Una vicenda diventata anche un libro e in film che fece scuola in vista della promulgazione della legge numero 82 del 1991 sul blocco dei beni delle persone sequestrate, del coniuge e dei parenti, affini e conviventi.

La protesta di una madre: dalla Lombardia alla Calabria

Difficile dimenticare quel cartello sul suo petto: «Mio figlio è incatenato così da 510 giorni». Lo aveva scritto, lo aveva denunciato scendendo fino nei paesi della Locride dove suo figlio era in ostaggio dell’anonima sequestri calabrese.

Era direttamente collegata alla ‘ndrangheta, che usualmente riciclava i soldi dei riscatti reinvestendoli in sostanze stupefacenti, preludio della dimensione di holding internazionale incontrastata di droga che oggi è. 

Un’eroina civile involontaria, e per questo autentica, Angela Casella, in un’Italia in cui la mala pianta mafiosa ormai aveva messo radici e si apprestava ad esportare il suo malaffare in tutti i continenti. Un’Italia ancora scossa il dibattito fra linea dura (o della fermezza) e linea morbida (o della trattativa) che segnarono l’epoca del sequestro Moro ad opera delle Brigate Rosse.

Continua a leggere su IlReggino.it.