“Oasi francescana, Giacomo Mancini e Padre Fedele Bisceglia addì 11 maggio 2001 posero”. Il Paradiso dei poveri te lo trovi davanti dopo aver percorso pochi metri appena, lungo una stradina poderale di Timpone degli Ulivi a Donnici. Non c’è campanello e l’ingresso è presidiato da una porta a vetrata che, di per sé, pare essere sinonimo di accoglienza. «Entra pure, ti stavo aspettando». La stanza è in penombra: Padre Fedele sta seduto su una poltrona. A terra un asciugamano bagnato sembra dare sollievo ai suoi piedi gonfi.

«Se non fosse per quelle cinque ernie dietro la schiena che mi danno il tormento, la salute tutto sommato andrebbe bene». Chiedo conto della targa apposta all’ingresso e mi accorgo che la risposta di Padre Fedele è una bugia innocente, un ricordo strappato a un tempo che fu.

In fondo, l’Oasi francescana non esiste più e quella insegna ormai non la reclama nessuno. «Casa San Francesco è gestita da Pasqualino Perri, un ragazzo che ho cresciuto. Cammina per la sua strada, se la cava bene e io lo seguo da lontano. Di tanto in tanto, vado a trovarlo».

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Visitiamo il Paradiso dei poveri all’indomani dell’appello formulato da parte di Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, affinché si restituisca il sacerdozio a Padre Fedele. «Certo che ho letto l’articolo. Il parlamentare Antoniozzi chiede ufficialmente che mi venga ridata la possibilità di celebrare la messa e io lo ringrazio per questo. La mia storia è chiara: avevo intrapreso un’attività più grande di me, e mi hanno colpito per questo».

A nulla sono serviti gli investigatori privati: dopo la sentenza di assoluzione del giugno 2016, Padre Fedele non è riuscito a scovare la suora che, dieci anni prima, lo aveva accusato di violenza sessuale. Anche la volontà di denunciarla per calunnia è finita in un nulla di fatto: la misteriosa sparizione di documenti, prima a Catanzaro e poi a Roma, ha allungato i tempi e il reato, nel frattempo, è caduto in prescrizione.

Rimangono domande che aspettano risposte. Accanto a poche certezze. «Il bene fa rumore - sospira padre Fedele - l’Oasi francescana era una struttura attorno alla quale ruotavano grossi interessi. Anche all’interno della Chiesa e dell’Ordine dei francescani, esistono invidie e gelosie. Suor Tania non può aver fatto tutto da sola».

L’ordinanza nella mano sinistra, la destra poggiata sulla spalla del frate che si sforza di sorridere. È il gennaio del 2006, Padre Fedele lascia la Questura di Cosenza e la città è sotto shock. Sono trascorsi diciotto anni, la ferita non si è ancora rimarginata, ma non c’è nulla che Padre Fedele non rifarebbe: «Il Paradiso dei poveri è una struttura che ho realizzato nel mio periodo di “cattività”, e questo vuol dire che il Signore non mi ha mai abbandonato».

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Teologia, Lettere e Filosofia, Medicina. Tre lauree e due specializzazioni: Padre Fedele è un medico missionario. Lo scorso anno, ha realizzato un dispensario in Madagascar dove spera di tornare presto. Villaggi senza acqua e senza luce, dove bisogna utilizzare la dinamite per squarciare le rocce e riuscire ad arrivare. Al suo fianco, da dieci anni, c’è Teresa Boero che vive nella struttura di Timpone degli Ulivi in compagnia della mamma di 95 anni.

«Lavoravo come infermiera in uno studio medico, ma in breve tempo ho perso il lavoro e ho divorziato. Per andare avanti, lavavo i vetri di alcuni negozi a via Roma. Mi sono rivolta a Padre Fedele perché non riuscivo a pagare l’affitto di casa. Il racconto dei suoi viaggi mi ha contagiata, ho deciso di accompagnarlo e l’Africa mi ha guarita». 

Teresa Boero coordina i volontari del Paradiso dei poveri e ha tutta l’aria di una che non si arrende: «Anche quando Dio deciderà di chiamare a sé Padre Fedele, noi andremo avanti nella ricerca della verità: «Chi sa, prima o poi, deciderà di parlare. In seguito all’arresto di Padre Fedele, cento sacerdoti firmarono un documento a sostegno della suora accusatrice. Dopo l’assoluzione, nessuno ha chiesto scusa, come pure il Centro antiviolenza “Roberta Lanzino”».

La Questura ha restituito il materiale sequestrato all’interno della baracca nella quale si ipotizzò che fossero avvenute le violenze sessuali: lenzuola, un cuscino, fazzoletti di carta e una confezione di vasellina. Teresa Boero precisa: «Ma quale alcova, quella baracca era destinata agli alcolizzati che non potevano essere ospitati all’interno dell’Oasi francescana. La pomata? Serviva a Padre Fedele per medicare le ferite ai piedi, causate dai sandali malandati con i quali andava in giro. Già in passato, suor Tania aveva denunciato altri tre episodi di violenza sessuale: perché queste informazioni sono rimaste a lungo segrete?».

Padre Fedele ascolta in silenzio e aggiunge: «Questa cosa non soltanto non l’ho fatta, ma non l’ho mai neanche pensata». Poi, a fatica, si alza dalla poltrona e raggiunge la cappella dove ogni sabato celebra la messa in privato per un gruppo ristretto di fedeli e impartisce la confessione. Il suo desiderio più grande, però, è quello di tornare a farlo in chiesa. Al momento, a parte la parrocchia di San Nicola, Teresa Boero racconta che i sacerdoti non gli consentono neanche di proclamare la parola di Dio durante le celebrazioni religiose “per ragioni di opportunità”.

Padre Fedele, che nel frattempo ha abbandonato l’ordine dei Cappuccini, non smetterà mai di indossare il saio francescano. Se mai un giorno dovesse tornare a pronunciare un’omelia in pubblico dall’altare, direbbe: «Gesù, innocente per antonomasia, mi ha mostrato la via della Croce. Perdono tutti e vi rimetto nelle mani di Dio».