«Se uno vuole andare in un partito diverso di quello votato dai suoi elettori, si dimette e lascia il posto a un altro». Potrebbe sembrare l’ennesima reazione inviperita all’uscita dal M5s di Luigi Di Maio, ma non è così. Quelle parole, incastonate nella memoria da elefante del web, le ha dette lo stesso Di Maio, quando nel 2017 tuonava contro quello che definiva «un vero e proprio mercato delle vacche che va fermato».

L’attuale ministro degli Esteri, in quel frangente era fresco di investitura a capo politico degli iscritti del Movimento, che lo elesse con oltre l’80 per cento dei consensi raccolti sulla piattaforma Rousseau. Gianroberto Casaleggio era morto pochi mesi prima, ma la struttura “partitica” che aveva messo in piedi con Beppe Grillo era ancora viva e vegeta.

Nel video, che ha ripreso a circolare in queste ore, Di Maio snocciola principi fondanti del Movimento, a partire dall’auspicato vincolo di mandato, il contrario di quanto prevede la nostra Costituzione, che invece non obbliga il parlamentare eletto a restare inquadrato nel partito con cui è arrivato alla Camera o al Senato.
«In Italia, oltre ai furbetti del cartellino, abbiamo i voltagabbana del Parlamento», attestava Di Maio all’inizio della sua intemerata.

Nel mirino c’erano tutti i parlamentari che, una volta eletti, avevano deciso di cambiare casacca. «Dal 2013 ad oggi – continua a spiegare nella clip – ci sono stati 388 cambi di partito. Alcuni parlamentari hanno cambiato partito anche 6 volte negli ultimi 4 anni. La terza forza parlamentare del Senato e della Camera, pensate, è il gruppo misto». Lo stesso che oggi è imbottito di ex pentastellati.

«Una volta che sono in Parlamento - continua ad argomentare - se ne fregano, gli elettori non contano più nulla. Quello che conta è la poltrona, il mega stipendio e il desiderio di potere». E ancora: «Molti governi si sono tenuti in piedi e hanno fatto approvare le peggiori porcate proprio grazie ai voltagabbana. Le leggi più vergognose della Repubblica si sono votate grazie ai traditori del mandato elettorale».

Ma la ruota gira e continua a girare. L’ex capo politico dei 5 stelle da oggi, mercoledì 22 giugno 2022, guida due nuovi gruppi parlamentari (formalmente al Senato non è possibile costituirlo per questioni di regolamento, ma la sostanza non cambia) che contano oltre 60 tra deputati e senatori, che a loro volta hanno mollato gli ormeggi seguendolo.

Lo stesso Di Maio che nel 2017 faceva la morale a mezzo Paese, oggi è costretto a subire l’invettiva di chi non ha remore a ricorrere alla legge del contrappasso definendolo «traditore», come in Calabria ha fatto il consigliere regionale Davide Tavernise («Addio Giuda, non ti auguro buona fortuna»).

Intendiamoci, il punto non è la bontà politica delle decisioni di Di Maio, che – proprio grazie alla Costituzione sulla quale ha giurato – può oggi fare legittimamente quello che ha fatto. Il punto è che il vero tallone d’Achille del populismo tricolore si dimostra essere, ancora una volta, la sua grottesca incoerenza. E fa quasi sorridere la scelta del nome (banalissimo e scopiazzato) del nuovo partito: Insieme per il futuro… Sì, il futuro di Di Maio.