In Sudamerica la chiamano la tormenta di “santa Rosa” ed accade sul finire del mese di agosto, colpa dei venti caldi che quando ormai si è prossimi alla primavera si scontrano con le correnti atlantiche. Una antica leggenda narra che nel corso del 1615 nella “Città dei Re” ovvero Lima in Perù, una religiosa Isabel Flores de Oliva chiamata Rosa, cominciò a pregare insieme ad altri affinché fosse impedito ai pirati di sbarcare nel vicino porto di El Callao. Le richieste furono esaudite e in quella zona si scatenò una grande tormenta che impedì ai pirati di sbarcare. E così Lima fu salva.

Qualcosa del genere passò nell’anno 1990 e vide protagonista eroico un pescatore nato a Bagnara Calabra, Giuseppe Dato, che si trovò sul suo peschereccio, "don Josè”, insieme ad altre otto persone, tra cui due suoi figli, in una tormenta violenta scatenatasi all’improvviso nelle acque fuori il porto di Necochea sull’Atlantico, in Argentina.

Lo conobbi Giuseppe, che li chiamano Josè, e mi raccontò ciò che accadde.

Sono passati trentaquattro anni da quando, un giorno, nelle lontane acque dell'Atlantico argentino, nell’emisfero australe, tre imbarcazioni da pesca che avevano preso il mare, come ogni giorno, all'improvviso si imbatterono in una grande tormenta.

Era il 1990. E tutto accadde all’improvviso, la grande tormenta di cui si era sempre parlato arrivò. Tre pescherecci salparono dal porto di Necochea; uno che si chiamava Amapola e un altro che si chiamava Angelito, si scontrarono con violenza e affondarono entrambi, con a bordo sedici pescatori. Non si ritrovarono più né i corpi né le imbarcazioni.

«Uscimmo dal porto – mi raccontò Peppe - ci imbattemmo in una tormenta terribile, tutto accadde all’improvviso.. Quando eravamo circa a cinque miglia non si vedeva più nulla, nemmeno l'entrata del Porto. Allora pensavo pian piano di riprendere il largo ma non si poteva uscire e non riuscivamo ad uscire. Ho avuto paura, pensavo: qui rischiamo che il mare ci riporti sulla costa scaraventandoci sui moli con il rischio di annegare tutti e allora cominciai a pregare che con l'aiuto di Dio potevamo farcela».

La cosa che in questi casi i marinai esperti, soprattutto, fanno è quella di cercare il largo sul mare. «Sì – proseguì l’esperto pescatore calabrese – cercai di prendere il largo quanto più possibile, cercando acqua profonda, in modo che l’oceano fosse più calmo e meno pericoloso che sottocosta. Ma il temporale ci inseguiva e con la tanta corrente che c'era, siamo stati trasportati sino a Mar del Plata. Tenni il timone per ventiquattro ore ininterrotte, lottando disperatamente. Quando arrivammo al porto di Mar del Plata c’erano circa cinquemila persone che attendevano che arrivassimo, non sapendo però che c’eravamo solo noi. Non avevamo avuto modo di comunicare perché tutto il sistema si ruppe durante la tormenta, quindi non sapevano nulla di cosa fosse accaduto, solo si resero conto che non c’era da ventiquattro ore il contato radio con nessuno dei tre pescherecci.  

Quando sono sceso a terra sono svenuto per tutta la tensione accumulata al timone un tempo di 24 ore sempre con le mani al timone e all'acceleratore. A bordo non si è saputo più nulla né dell'equipaggio ne delle imbarcazioni perché una era trainata al rimorchio dell'altra E allora solo vidi che si era rotto il cavo del rimorchio, una tornò indietro per rimorchiarla di nuovo. Fu fatale perché si scontrarono e affondarono entrambe».

Giuseppe, detto Peppe, ricorda che da quel giorno non prese più il mare per andare a pescare, restò chiuso in casa a Necochea per un mese, e rivisse mentalmente tutta la tragedia di quel giorno e di quella notte.

«Ringrazio Dio e tutti i santi – mi dice- che c'ero io a bordo, altrimenti sarebbe stato un numero disastro. Mi cambiò la vita. Ora quando c'è un po' di vento ho ancora paura».

Questa tristissima disavventura in mare, ebbe grande risalto in Argentina per la triste perdita di sedici pescatori che prendevano il mare per sostenere economicamente le proprie famiglie. Ma Peppe, il calabrese di Bagnara, fu eroico e tutta la stampa argentina, e non solo, riconobbe il suo eroismo e il suo coraggio.

La tragedia poteva essere più grande se non ci fosse stato lui al timone di quella imbarcazione. Servì la sua conoscenza del mare, la sua determinazione, il suo coraggio. Gli altri sedici uomini di mare tra cui diversi emigrati italiani, saranno ricordati come uomini dediti al lavoro, per mantenere le proprie famiglie, molte d queste erano lì, sui moli del porto di Mar del Plata nella speranza del ritorno dei loro cari. Che non tornarono più.