La professionista sulla giornata dell'8 marzo focalizza l'attenzione sull'educazione alla parità di genere: «Non serve una giornata celebrativa, urge scendere in campo»
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Gabriella Cantafio e la festa delle donne. Una delle penne più apprezzate in Italia, ha conseguito la laurea in Comunicazione sociale presso l’Università degli Studi di Messina con un master in Economia e Gestione della comunicazione e dei media presso l’Università di Roma Tor Vergata.
Dopo un periodo in redazione di Mezzogiorno in famiglia, su RaiDue, imbraccia la penna per scrivere di attualità e cultura su testate nazionali (Io Donna del Corriere della Sera, Vanity Fair, La Repubblica e inserto D, Il Foglio ecc…).
Giornalista freelance, Gabriella Cantafio, calabrese, è sempre con lo sguardo volto al sociale, con l’obiettivo di dare voce a persone che vivono ai margini della società.
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La incontro a Crotone, e la trovo sempre disponibile e sorridente. Il discorso va subito all’8 marzo. «Il consumismo ha fatto perdere di vista il vero significato di questa giornata diventata l’ennesima occasione per banchettare, spesso, svilendo quei diritti per cui tanto si è lottato e che, invece, dovrebbero far scaturire un momento di riflessione, non solo l’8 marzo. Non serve una data celebrativa per sentirsi donne. Urge scendere in campo per difendere i diritti che la cultura patriarcale continua a mettere a repentaglio».
Quanta tristezza nell’apprendere le continue notizie sull’assassinio di donne. Un strage infinita. Alle spalle c’è sempre un amore tradito, violentato. Su questo Gabriella è netta: «Chi ammazza una donna non la ama, la reputa un oggetto da possedere, arriva ad odiarla perché non sopporta la sua libertà. Manteniamo le distanze da false giustificazioni tipo il raptus di gelosia. Anche i media, spesso, cadono nell’errore di una narrazione sensazionalistica e misogina che fa ricadere le colpe sulla donna. È triste ammettere che, nonostante le tante battaglie, l’emancipazione delle donne fa ancora paura».
Ma poi Gabriella punta il dito sulle altre forme di violenza sulle donne. Centinaia all’anno subiscono maltrattamenti e violenza. «Crediamo che la limitazione dei diritti delle donne sia una realtà distante da noi, ma l’attualità ci mostra il contrario. Spesso ad essere vittime di violenza sono donne che si sono ribellate a uno stato di subalternità. Frutto della cultura patriarcale è anche il pregiudizio del se l’è cercata, solo perché magari la vittima indossava una minigonna o aveva bevuto un bicchiere di troppo. Urge un’educazione di genere che annienti questi stereotipi, già tra i banchi di scuola».
Ci sono altre forme di violenza, che sembrano poco importanti, ma fanno molto male. «È innegabile che essere giovane e donna comporta più impegno per mostrare le proprie capacità. Io sono freelance e non subisco assai il gender pay gap, ma anche sugli stereotipi c’è ancora tanto da fare: durante una riunione, tuttora capita che i colleghi vengano chiamati con il titolo professionale mentre noi donne siamo le signorine».
Di violenza in violenza, con Gabriella parliamo del coraggio delle donne: in Afghanistan, in Iran, nei paesi fondamentalisti. «Mi capita di intervistare donne afghane che dopo aver lottato per conquistare la propria libertà, a seguito dell’attacco dei talebani, sono private di diritti fondamentali. A stupirmi sempre è la determinazione con cui scendono in campo per riappropriarsene, a volte rischiando la vita. Anche solo l’ottenimento della patente diventa uno strumento di emancipazione, oltre logicamente all’istruzione tanto temuta nei Paesi fondamentalisti perché rende liberi».
Tra guerre, violenza e sofferenza, stiamo vivendo un periodo storico veramente tragico. «Il mio desiderio è una tregua, in cui riappropriarci del valore dell’umanità. A lungo termine, invece, spererei che non ci fosse più bisogno di porre l’attenzione sul protagonismo femminile in contesti lavorativi e sociali. Solo in quel momento potremo dire di aver raggiunto realmente la parità di genere».
E la donna in Calabria? Gabriella conosce bene la nostra terra, perché qui vive e prima di tutto ha deciso di rimanervi, nonostante le tante proposte fuori dalla nostra regione. «La Calabria è un’altra povera fanciulla, ripetutamente abusata. È vittima di stereotipi, tra cui quello dell’arretratezza. È pur vero che, in alcune aree interne, le scelte delle donne sono tuttora schiacciate dal peso della predestinazione a un ruolo marginale, ma non è un problema circoscrivibile alla nostra terra. La questione di genere non ha confini geografici, ci sono tanti passi da fare, ovunque».
«Questo fatto che dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna mi sembra una gran cretinata. È la solita storia che puzza di mancia, di gratifica natalizia, di carità, di "bel gesto" nei confronti di noi donne, esseri inferiori. Io mi sono rotta leggermente le palle. E dietro una grande donna c'è sempre chi o che cosa? Solo se stessa, temo». Mina parla con franchezza sul ruolo delle donne, proprio lei che negli anni ‘60 ha fatto scelte coraggiose, di rottura, divenendo il simbolo delle battaglie per la "liberazione" della donna. E Gabriella apprezza molto l’intervento della grande artista. «Sono pienamente d’accordo con Mina, grande pensatrice che arriva dritto al cuore. Si tratta di un’affermazione anacronistica, imbrigliata nel retaggio culturale che ci trasciniamo da secoli. La donna non sta dietro a nessuno. Ogni donna è grande da sola, per i propri meriti e successi. Non vive all’ombra di un eventuale compagno, al massimo è al fianco, in una condizione di assoluta parità».
Gabriella Cantafio è appassionata di libri, organizza eventi culturali. Giurata del Premio letterario Caccuri nelle edizioni 2017 e 2018 e del Premio Muricello 2022 e 2023. È una giovane e brillante giornalista, puntuale e obiettiva nel raccontare le storie più belle, quelle che vanno nel profondo, senza mai scivolare nella banalità della retorica.