Sull'utilizzo lungo le strade del Paese, di autovelox approvati ma non omologati, arriva una nuova spallata, probabilmente decisiva, da parte della Cassazione rispetto all'impiego di queste apparecchiature per comminare sanzioni per eccesso di velocità. La Suprema Corte ha infatti respinto, con la sentenza 10365 del 14 marzo scorso, emessa dalla quinta sezione, il ricorso presentato da una impresa del cosentino per ottenere la restituzione dei dispositivi che erano stati noleggiati all'amministrazione provinciale e a due comuni del territorio bruzio, poi sottoposti a decreto di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria nell'ambito dell'inchiesta coordinata dal pm Antonio Bruno Tridico sulle presunte irregolarità dei dispositivi stessi.

C’è il fumus del reato

Nella circostanza gli ermellini però, non si sono limitati a confermare la differenza tra procedure di approvazione e di omologazione, attività definite in maniera distinta e separata dal codice della strada per garantire la funzionalità e la precisione degli strumenti elettronici impiegati per la misurazione della velocità dei veicoli. I giudici hanno addirittura ravvisato, per il legale rappresentante della ditta, la configurazione del fumus del reato di frode in pubbliche forniture e di falso per induzione poiché, nei contratti di noleggio, si parla di apparecchi omologati dal Ministero competente, mentre di fatto gli stessi sono soltanto approvati. Per questi motivi la Cassazione ha convalidato il sequestro preventivo degli autovelox, offrendo agli automobilisti un ulteriore appiglio per presentare ricorso contro eventuali sanzioni elevate attraverso appunto, l'utilizzo di queste apparecchiature.