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La politica calabrese che conta a Roma si chiama Cosenza. L’alternanza è sempre la stessa: democristiani e socialisti, con un breve accenno di ultra-sinistra. Vecchi e nuovi. Da Gennaro Cassiani a Giacomo Mancini, da Riccardo Misasi a Cecchino Principe, da Antonio Gentile a Nicola Adamo. Personaggi diversi tra loro, sia come caratura intellettuale, sia come prestigio, sia come potere nazionale. La storia di Cosenza, infatti, si ferma a Cecchino Principe. Da li in poi la “grandeur” lascia spazio ai personalismi. Colpa (o merito) di una politica che cambia, che si modernizza, che dà eguale importanza di un deputato anche a consiglieri, assessori, sindaci e governatori. Un sistema diverso, nuovo, ma che d’altra parte rende più deboli agli occhi delle magistrature gli uomini e le donne impegnati sul campo. Anche perché l’unico modo per rimanere in auge nella seconda Repubblica, specialmente in regime di concorrenza spietata, è la gestione del voto. Che da sempre, in Calabria, è scientifica. E per mantenere alto l’indice di gradimento l’asse si deve necessariamente spostare. Non bastano le autostrade e i famosi palazzetti dello sport per ringraziare l’elettorato, ma bisogna creare, unirsi, consociarsi, appartenere. Anche a costo di scendere a patti con la ‘ndrangheta. A farne le spese è certamente la collettività. Perché ad un certo punto il famoso “modello Cosenza” inizia a perdere colpi. Soprattutto a perdere d’immagine.
“NESSUNO TOCCHI RENDE”
E’ la mattina del 22 novembre 2012. Dalle parti del nuovo dorato quartier generale di piazza San Carlo Borromeo, a Rende, arriva la notizia: al Comune sta per arrivare la Commissione di accesso agli atti, anticamera dello sciogliemento per infiltrazioni mafiose. Il sindaco in carica è Sandro Principe vestito questa volta da Vittorio Cavalcanti, con la compartecipazione di Mimmo Talarico. La Distrettuale antimafia vuole vederci chiaro su alcune storie di cooperative all’interno del palazzo. Gli occhi sono puntati sulla “Rende 2000”, una multiservizi paracomunale che gestisce pulizie e lavori edili, nelle cui fila lavorerebbero pure due pezzi grossi della “mala” locale, Michele Di Puppo, braccio destro del boss Ettore Lanzino e addirittura lo stesso Lanzino. Vittorio Cavalcanti, del resto, in questa storia c’entra poco, ma nel giro di qualche mese, lasciato solo da tutti, decide di “licenziarsi” da sindaco. Una mossa che salverà lui dal disonore di essere caduto per la prima volta nella storia per eventuali accertamenti di infiltrazioni mafiose e lo stesso Comune di Rende, che – forse grazie proprio a questa caduta anticipata - non sarà comunque raggiunto dal pesantissimo provvedimento del Viminale. Il tutto mentre l’ex sindaco Umberto Bernaudo e l’ex assessore all’urbanistica Pietro Ruffolo vengono momentaneamente arrestati per corruzione. Dice Cavalcanti in un’intervista al “Quotidiano del Sud” del 9 giugno 2013: “In altri termini, si è andati dalla risposta “nessuno tocchi Rende” che è a metà strada tra il negazionismo ed il complotto, alla considerazione minimalista dei fatti. (…) Certamente non devi andare a chiedere i libri paga delle imprese, ovvero girare per la città come un poliziotto, oppure prendere tutti i fascicoli delle pratiche amministrative ed indagare per vedere se tutto è a posto”.
IL CINGHIALE FERITO…
Ma l’episodio più incredibile, che forse rappresenta a pieno la prepotenza politica cosentina fino ad oggi nascosta proprio per quel confine tenue tra silenzio e luce del sole, è il caso passato alla storia come “Ora-gate”. E’ la notte tra il 18 e il 19 febbraio del 2014. La redazione cosentina di “Calabria Ora” ha nelle mani un documento scottante: il figlio di Tonino Gentile, Andrea, pare sia indagato dalla procura di Cosenza per abuso d’ufficio, falso ideologico e associazione a delinquere in un’inchiesta su delle consulenze a un’azienda sanitaria locale. Umberto De Rose, lo stampatore del quotidiano e amico intimo di Gentile, contatta l’editore Alfredo Citrigno. Parole chiare e coincise. Dice Umberto De Rose: “D’altra parte gli altri giornali non la pubblicano (la notizia dell’indagine sul figlio di Gentile, ndr), gli altri si fanno i cazzi loro…” E Citrigno risponde: “Il direttore (Luciano Regolo) mi ha posto questa questione: per quale motivo gli altri giornali domani devono pubblicarla e noi no?”. E De Rose perentorio: “Ti sto dicendo che gli altri giornali domani non pubblicano niente, se no non ti chiamavo. Non la pubblicano al 100 per cento”. Per finire con la frase cult: “Facciamo conto che domani con questa notizia il giornale ti vende 500 copie in più. 500 euro. Vale la pena farti un nemico che poi ferito come un cinghiale a morte… tu sai come fa un cinghiale quando è ferito? Colpisce per ammazzare. Che cazzo di senso ha?”.
PAOLINI? OCCHIUTO? PRINCIPE? MANNA? GRECO? GENTILE?
Nelle settimane scorse poi il possibile triste epilogo. Da stralci di intercettazione in merito ad un possibile procedimento a carico di “pezzi grossi” della politica cosentina condotto dalla Dda di Catanzaro, emergerebbero delle confessioni molto compromettenti da parte di due pentiti, Adolfo ed Ernesto Foggetti, appartenenti al clan Abbruzzere-Rango. Se tali indiscrezioni venissero confermate, con il conseguente arresto di qualche esponente di governo locale, la storia si chiuderebbe con il definitivo crollo del famoso “modello Cosenza” che per 50 anni ha visto cavalcare di poltrona in poltrona una serie infinita di personaggi oggi molto noti. Certo, dimostrare il voto di scambio è cosa assai difficile in Italia, ma indipendentemente da tutto, se le nuove gole profonde avranno voce attendibile spiegheranno ai calabresi che cosa è e cosa sia stato questo benedetto “modello Cosenza”, sospeso tra il legale e l’illegale, tra l’interesse di pochi per il favore apparente di tutti, tra l’unione senza soluzione di continuità (con tanto di strade, palazzi e cemento) delle città.
Proprio come una grande famiglia.
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