L’atteso chiarimento, alla fine, è arrivato. Il dirigente generale del Dipartimento Lavoro e Welfare della Regione Calabria risponde alla richiesta di delucidazioni seguita alla circolare del 20 gennaio scorso riguardante l’accoglienza nelle strutture socioassistenziali. La confusione derivava da quella «indicazione agli ambiti territoriali, ai sensi dell’art. 3 comma 5 della legge regionale 23/2003, che, a decorrere dal primo gennaio 2023, il Comune tenuto all’assistenza dei soggetti di cui al comma 1 dello stesso articolo 3, è identificato facendo riferimento al Comune di residenza».

L’associazione di Corigliano-Rossano Mondiversi, che gestisce sul territorio due case rifugio per donne e minori in fuga da situazioni di pericolo, aveva denunciato le situazioni che si stavano già venendo a creare, con notevoli difficoltà per chi lavora quotidianamente nell’accoglienza. Nella lettera inviata al Dipartimento, l’associazione lamentava il contrasto di «questa interpretazione della norma sui soggetti aventi “diritto alle prestazioni”, che non dà accesso al Sistema dei Servizi Sociali della Regione alle donne vittime di violenza e loro figli senza residenza in Calabria» con gli altri due commi della stessa legge 23/2003, secondo cui hanno diritto all’assistenza non solo i residenti in altre regioni ma anche «persone occasionalmente presenti o temporaneamente dimoranti sul territorio regionale». In particolare, il comma 5 «prevede che il Comune tenuto all’assistenza di queste persone è quello nel cui territorio si è manifestata la necessità di intervento».

Da qui il verificarsi di situazioni «insostenibili», così come definite dal presidente di Mondiversi Antonio Gioiello. Fino al chiarimento giunto questa mattina ai responsabili degli Uffici di Piano dei Comuni capofila degli Ambiti territoriali calabresi, cui spetta la presa in carico dei soggetti che necessitano dell’accesso nelle strutture. Una comunicazione che dirada le ombre e rimette le cose al posto auspicato, richiamando proprio quel comma 5 dell’articolo 3 della legge regionale, del quale si lamentava la mancata presa in considerazione. Si legge infatti: «L’art. 3 comma 5 della Legge regionale n.23/2003 e s.m.i. statuisce che “il Comune tenuto all’assistenza dei soggetti di cui al comma 1 del presente articolo è identificato facendo riferimento al Comune di residenza, fatti salvi i casi di cui al comma 2, per i quali l’identificazione avviene sulla base dei protocolli ivi previsti. Il Comune tenuto all’assistenza dei soggetti di cui al comma 3 è identificato facendo riferimento al Comune nel cui territorio si è manifestata la necessità di intervento”».

Tutto chiaro, dunque, e messo nero su bianco. «Una buona notizia – commenta Gioiello – perché è stato riconosciuto il diritto all’assistenza alle persone senza fissa dimora o senza permesso di soggiorno, che sono quelle con le quali abbiamo più spesso a che fare».