“Otto mete dove fuggire e lasciarsi tutto alle spalle”, scrive così – ovviamente in inglese – il Financial Times, che mette in fila otto destinazioni sul globo terraqueo (copyright Meloni) per sfuggire al logorio della vita moderna (copyright Cynar). Tra i luoghi ameni scelti dal prestigioso quotidiano economico-finanziario britannico, c'è anche la Calabria, che se la gioca con posti come Central Otago in Nuova Zelanda,  il Delta dell’Okavango in Botswana, Policandro in Grecia e così via.
«In un Paese che è a corto di posti da visitare senza incontrare, beh, tutti gli altri sul pianeta, questa regione italiana sembra ancora da scoprire», scrive FT. E fin qua tutto bene: grazie, prego, non c’è di che.

Se non fosse che l’incipit della scheda dedicata alla Calabria continua con la solita sintesi di stereotipi triti e ritriti, del tipo “Italia? Pizza, mafia e mandolino”. La giornalista esperta di viaggi che firma il pezzo, infatti, premette: «La Calabria non è decisamente sempre bella; la sua storia è troppo collegata con la criminalità organizzata, corruzione del governo locale e povertà dell'ambiente, che sia costruito o naturale, per non mostrare alcune cicatrici (siate pronti per alcune strade affiancate da edifici finiti a metà e con mattoni a vista)».
Un quadro poco edificante che, arrivati a questo punto, fa apparire sotto una luce sinistra anche il titolo del pezzo - Eight true escapes where you can leave it all behind – che pare introdurre a una guida per latitanti in cerca di un rifugio sicuro e poco frequentato, piuttosto che un luogo dove andare in vacanza.

Ma tant’è. La bibbia del capitalismo anglosassone continua indicando le mete specifiche e dando un colpo alla botte dopo aver assestato quello al cerchio: «Ma la Calabria è anche uno dei luoghi più ricchi del Pase di miti della storia greco-romana e di incantevoli tratti di costa del Mar Ionio e del Tirreno». Così, spiega il quotidiano inglese, «puoi sederti nell'affascinante (anche se un po' decadente) cittadina di Scilla, sorseggiando il tuo aperitivo e guardare la Torre Faro, dove i marinai dell’Odissea nel poema epico di Omero sfuggirono per un pelo a Cariddi». E poi «i Bronzi di Riace, due delle sculture più famose sopravvissute dei tempi antichi, abbagliano dai loro piedistalli al Museo Nazionale della Magna Grecia, nella città di Reggio Calabria, punta dello Stivale». Infine, ecco la «vecchia Tropea, aggrappata alla sua scogliera sopra un nastro di spiaggia bianca», dove puoi passeggiare «in un labirinto di vicoli e sorseggiare un caffè in piazze nascoste».

Chissà se basterà a convincere i suoi lettori a visitare la Calabria, dopo quella introduzione non certo lusinghiera. Che, intendiamoci, non è falsa, è solo tremendamente usurata. Nessuno può negare che la Calabria abbia anche un’anima nera fatta di ‘ndrangheta, abusivismo edilizio, inquinamento e corruzione politica. Ma non c’è luogo al mondo, neppure il più bello, che non abbia il suo lato oscuro.

Ciò che è certo è che, come calabresi, dovremo lavorare ancora tanto per ripulire l’immaginario collettivo, che rappresenta questa regione ancora come un luogo pericoloso, nel quale forse – penserà qualcuno – sarebbe meglio andarci col giubbotto antiproiettile, come Claudio Bisio nel film Benvenuti al Sud. Ma sappiamo come poi va a finire: una volta aperti gli occhi e la mente, da qui giù quasi nessuno vorrebbe più andare via.