La mattatrice del venerdì sera di LaC svela vizi e virtù (spesso nascoste) dei tanti ospiti che si sono avvicendati nel suo salotto televisivo. La puntata indimenticabile? «Quella con Berlusconi». E il suo sogno nel cassetto...
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Lei è una donna fuori da ogni schema, lei è tutto e il suo contrario. Una ragazzaccia ruvida, anarchica, socialista, liberale e libertaria, ma nessuna meraviglia se dovessimo incontrarla in una… processione Međugorje o tra i Vattienti di Nocera Terinese! Coltissima, nessuno è mai riuscita a imbrigliarla in uno schema o in un profilo ben determinato. Proprio perché lei è imprendibile per natura, libera da qualsiasi narrazione da libro di testo. Usa in maniera perfida l’arma tagliente dell’ironia, allo scopo di «estrarre verità sommerse, altrimenti indecifrabili».
L’abbiamo sentita per farci raccontare i dieci anni di Perfidia. Anni che non pesano affatto. Grazie anche agli ascolti sempre altissimi.
Ma come hai fatto, Antonella?
«Perfidia è una creatura anarchica per via della sua riluttanza alla prigione delle sceneggiature. Ogni volta che ho tentato di imbrigliarne il percorso, mi si è rivoltata contro. In dieci anni non è mai stata uguale a se stessa. Per questo resiste e sopravvive».
Sei entrata nel cuore della istituzioni e della politica. Nessuna emittente locale in Italia ha fatto altrettanto.
«Ho provato a raccontare la politica infrangendo protocolli e procedure del linguaggio giornalistico tradizionale, osando oltre i confini regionali e radendo al suolo liturgie televisive usurate. Del resto, a dettare la linea è la musica sferzante degli AC/DC, protagonista della storica sigla della mia trasmissione».
Giochiamo un po’ con i ricordi: l’ospite più difficile da raggiungere?
«Nessuno tra quelli che contano e che rappresentano la prima fila nazionale. Qualcuno, invece, tra le mezzepippe locali, che fugge perché se la fa addosso per non correre il rischio delle domande di Perfidia».
Il più difficile da gestire?
«Il più difficile da gestire è sempre quello (quella) che non capisce una mazza e che si prende sul serio, non intrattenendo consuetudine con l’ironia».
Quello più disponibile.
«Sono entrata subito in confidenza con Pierferdinando Casini e con Antonio Di Pietro, in passato. Di recente, contro ogni previsione, dal momento che molti lo considerano antipatico, ho scoperto un Carlo Calenda molto divertente».
Quelli che hanno rifiutato l’invito.
«Uno che ha fatto il difficile è Fausto Bertinotti (dice che è allergico ai collegamenti). Mi toccherà andarlo a stanare a casa».
La puntata che non dimenticherai.
«La puntata indimenticabile resta quella con Silvio Berlusconi del 2014: intensa, profonda e con tratti di straordinaria autenticità».
Il tema più scottante trattato.
«Sicuramente la strage dei migranti a Cutro. Un racconto struggente, di grande impatto emotivo».
L’argomento che avresti voluto trattare ma… hai preferito sorvolare.
«Ecco, l’argomento che ho colpevolmente ignorato è sicuramente “la sindrome del prurito ascellare delle tartarughe della Tanzania”, così come “le cause dell’artrite reumatica dei benzinai di Calopezzati”».
Le armi dell’ironia e del sarcasmo sono il tuo forte. Riesci a trattare fatti assai difficili grazie a questo. Sei sempre stata cosi?
«Credo che l’ironia sia socraticamente una declinazione della maieutica: ti consente di estrarre verità sommerse, altrimenti indecifrabili. È un delizioso imbroglio, una tranello ordito dall’autore per fottere l’inutile prosopopea delle supercazzole politicanti. Sono sempre stata così, anche per castigare e punire la solennità di tanti tromboni vestiti a festa e unti di retorica».
La tua esperienza a LaC è ormai lunga. Gli editori ti hanno mai fermato? O chiesto di non fare qualcosa?
«Devo dire che gli editori non sono mai intervenuti nel merito della trasmissione. Nessuna censura o pressione. L’unico tiranno che governa Perfidia è la laicità della mia formazione. Anzi, a dire il vero, godo di un’eccedenza di agibilità. E quindi mi tocca reclamare il minimo sindacale di censura. La libertà spesso è una rogna, non propriamente un affare. Scherzo, ovviamente».
La tua penna è formidabile. Straordinaria davvero. Eppure la tv ti ha conquistato.
«Scrivere vuol dire premeditare scientificamente. Fare televisione vuol dire premeditare scientificamente l’arte dell’improvvisazione. La tv è colpo di scena, talvolta. Uscita in mare aperto. Più omerica e tenebrosa della penna che scrive. Lo scritto è “doloso”, la tv, invece, può astutamente sembrare innocente».
Diciamo bene nel definirti una donna anarchica, socialista, liberale e fuori dagli schemi?
«Sempre socialista e libertaria. Tuttavia, in questo tempo storico di “politeismo” in cui vale tutto e il suo contrario, si è un po’ orfani di partiti di riferimento».
Il tuo sogno nel cassetto?
«In fondo al mio cassetto sogno di tornare a fare le feste di piazza con la mia band. Sia chiaro: faccio la giornalista per ripiego, la mia passione irriducibile è sempre la musica».
Dietro i tuoi sorrisi, i tuoi successi, il tuo essere una star senza essere una star, si celano anche momenti difficili. Come purtroppo la vita riserva a tante persone. Cosa ti dà la forza di superare quei momenti?
«Proprio così: una star senza esserlo. Ho il culto dello spaghetto aglio e olio. Sono una ragazzaccia ruvida. I miei tormenti vivono accovacciati lungo le mie darsene. Di notte, spesso, li sento muoversi con lievi passi di danza, mentre piovono estati mai definitivamente trascorse sulla baia di Sapri…».