Sceglie la comoda, ma imbarazzante, via del silenzio la politica vibonese ad ogni livello dinanzi agli ultimi avvenimenti di cronaca giudiziaria che la chiamano direttamente in causa: il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Salvatore Solano, indagato nell’inchiesta “Petrol Mafie” (detta anche “Rinascita Scott 2”) per i reati di scambio elettorale politico mafioso e turbata libertà degli incanti (con l’aggravante mafiosa), e le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena che, nel corso del processo Rinascita Scott, ha fatto i nomi in aula del senatore Giuseppe Mangialavoridell’ex senatore (e attuale coordinatore regionale di “Cambiamo”) Francesco Bevilacqua e del consigliere regionale Vito Pitaro. A rompere il silenzio in Calabria (oltre al presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra), il candidato alla presidenza della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ma sol perché tirato per la “giacchetta” dal capogruppo del Pd al Senato, Franco Mirabelli, il quale – al pari dei parlamentari del M5S in commissione parlamentare antimafia (stessa Commissione di cui fa parte il senatore azzurro Giuseppe Mangialavori) – ha chiesto spiegazioni al centrodestra calabrese. 

Il silenzio del presidente della Provincia

Il primo a rifugiarsi più che mai nel silenzio – ed a rendere pubblica tale scelta – è il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Salvatore Solano, che con un post sul proprio profilo facebook (accessibile a tutti), all’indomani dell’avviso di conclusione indagini nei suoi confronti ad opera della Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri, ha scritto testualmente: “Sarà la voce del silenzio a dare le dovute risposte. La verità non è barattabile, come l’onestà non è contendibile”. A tale post seguono 95 commenti (nel momento in cui scriviamo) e 394 “Mi Piace” fra i quali anche quelli di diversi esponenti della politica vibonese (di destra e sinistra, compresi assessori e consiglieri comunali di diversi paesi del Vibonese), del mondo dell’associazionismo, del giornalismo e anche da parte di qualche imputato di Rinascita Scott. Eppure, la via “del silenzio”, scelta dal presidente della Provincia Salvatore Solano già ad aprile quando scattò l’operazione “Petrol Mafie”, non ha portato bene. Da allora, infatti, si è arrivati all’avviso di conclusione indagini di questi giorni e Solano avrà ora venti giorni di tempo per chiedere ai pm della Dda di Catanzaro di essere interrogato o presentare eventuali memorie difensive. Stessa cosa potranno fare i due suoi primi cugini (per parte di madre), Giuseppe e Antonio D’Amicoarrestati nell’operazione con le accuse di associazione mafiosa (clan Mancuso e clan dei Piscopisani, ma anche per rapporti con diverse altre consorterie) e un’altra sfilza di reati. Ma se rispetto ai singoli capi d’accusa ogni indagato è libero di scegliere la strategia difensiva che ritiene più opportuna (rispondere o meno alle contestazioni), diverso è il discorso – almeno ad avviso di chi scrive – rispetto ad altri fatti che emergono dall’inchiesta e non ricompresi in uno specifico capo di imputazione.

La via del silenzio in tali casi non è accettabile da chi amministra la cosa pubblica in generale, ancor di più se si tratta del presidente della Provincia e non dell’ultimo consigliere comunale del paese più sperduto. Ci spieghiamo meglio rivolgendo delle domande pubbliche al presidente Salvatore Solano: si è reso conto – al di là degli aspetti penali che chiarirà nelle sedi opportune – che suo cugino Giuseppe D’Amico nelle stesse giornate in cui si intratteneva a parlare proprio con lo stesso Solano, aveva contatti pure con esponenti di spicco della criminalità locale? La storia riportata negli atti dell’inchiesta e raccontata (ad avviso degli inquirenti) dallo stesso Salvatore Solano e dal cugino Giuseppe D’Amico, secondo la quale la loro nonna comune “era come una capo mafia” ed ha ospitato negli anni ’80 latitanti del calibro di Luigi Mancuso di Limbadi, Francesco D’Angelo di Piscopio (genero di Giuseppe D’Amico) e Raffaele Cracolici di Maierato (poi ucciso nel maggio del 2004) è vera o scherzavano? Hanno trascritto male le intercettazioni gli investigatori? La storia raccontata – sempre nelle intercettazioni – da Salvatore Solano e dal cugino Giuseppe D’Amico al dipendente della Provincia Isaia Capria (anche lui ora indagato per turbata libertà degli incanti) secondo la quale il padre dello stesso Solano avrebbe avuto una lite con altra persona (“Mio padre lo voleva sparare”…si legge nelle intercettazioni) e si sarebbe conclusa con il pestaggio della controparte dopo aver preso una pistola, è vera o gli interlocutori (Solano e D’Amico) scherzavano e per quale motivo avrebbero scherzato? Domande alle quali un presidente di Provincia (che amministra la cosa pubblica nell’interesse di tutti) non può – ad avviso di chi scrive – sottrarsi scegliendo la via del silenzio come fatto sinora, atteso che tali interrogativi – sollevati già ad aprile con appositi articoli dalla nostra testata – sono ad oggi rimasti senza risposta da parte del diretto interessato che si ritrova ora con un avviso di conclusione delle indagini preliminari che lo riguarda direttamente.

Il ruolo della Prefettura di Vibo Valentia

Altresì alla vicenda che vede il presidente della Provincia di Vibo Salvatore Solano, nonché sindaco di Stefanaconiindagato nell’inchiesta “Petrolmafie – Rinascita Scott 2” dovrà ora per forza di cose interessarsi anche la Prefettura ed il prefetto Roberta Lulli in particolare. Questo perché con accuse simili nei confronti dell’ex sindaco Gianluca Callipo (concorso esterno in associazione mafiosa e abuso d’ufficio) si è arrivati allo scioglimento degli organi elettivi del Comune di Pizzo Calabro per infiltrazioni mafiose. Allo stato, per quanto riguarda l’ente Provincia di Vibo Valentia, il presidente della Provincia Salvatore Solano è indagato per i reati di scambio elettorale politico mafioso e turbata libertà degli incanti con l’aggravante mafiosa insieme al cugino Giuseppe D’Amico (arrestato). Per il reato di turbata libertà degli incanti, in concorso con Solano e D’Amico, sono indagati anche tre dipendenti della Provincia (Isaia Angelo Antonio Capria, Gaetano Del Vecchio e Antonio Francolino). Se poi si vanno a vedere i collegamenti di alcuni consiglieri provinciali, sarà facile per la Prefettura di Vibo Valentia scoprire che il padre di un consigliere provinciale è attualmente imputato a Vibo nel processo nato dall’operazione “Costa Pulita” per associazione mafiosa (clan Mancuso), mentre nel processo nato dall’operazione “Nemea” contro il clan Soriano è stato assolto ma la Dda ha proposto appello nei suoi confronti per l’accusa di narcotraffico. Di altro consigliere provinciale hanno invece parlato i collaboratori di giustizia nell’inchiesta “Luce nei boschi”, mentre ulteriore consigliere provinciale è stato condannato in primo grado nel dicembre dello scorso anno per associazione a delinquere, falso e truffa.

Roberto Occhiuto e Giuseppe Mangialavori

Da non dimenticare che nel 2018 la candidatura a presidente della Provincia di Vibo Valentia di Salvatore Solano è stata voluta e sostenuta fortemente dal senatore di Forza Italia, Giuseppe Mangialavori, che in questi giorni si è ritrovato nuovamente al centro della “bufera” dopo che il suo nome è stato fatto nel processo Rinascita Scott prima nei verbali depositati dai pm della Dda di Catanzaro e poi direttamente in aula dal collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena nel corso della deposizione. Dinanzi alle legittime domande poste dal capogruppo del Pd, Franco Mirabelli, e dai componenti del Movimento Cinque Stelle in Commissione parlamentare antimafia, si è registrata la presa di posizione del candidato alla presidenza della giunta regionale calabrese per il centrodestra, Roberto Occhiuto di Forza Italia. Una presa di posizione che merita di essere analizzata. «Il senatore Mangialavori, che mi onoro di annoverare tra i miei amici, è una persona di specchiata correttezza morale e a suo carico non c’è alcun procedimento giudiziario. Qui qualcuno che si definisce democratico spedisce in cantina il garantismo e sceglie di imbracciare i forconi dopo aver orecchiato e naturalmente non verificato alcune maldicenze. La coalizione che sostiene la mia candidatura – ha sostenuto Occhiuto – entro pochi giorni depositerà le liste dei candidati al Consiglio regionale della Calabria alla Commissione parlamentare antimafia, per il controllo preventivo che io per primo ho chiesto in modo esplicito. Il Pd, caro Mirabelli, farà la stessa cosa?»

Se si prendono per buone tali dichiarazioni di Roberto Occhiuto salta subito agli occhi un’evidente contraddizione. L’aver infatti voluto rimarcare che a “carico del senatore Mangialavori non c’è alcun procedimento giudiziario” significa infatti sostenere che ove ci fosse stato la valutazione dello stesso Occhiuto sarebbe stata ben diversa (altrimenti perché evidenziare tale dato?). Per capire allora come la politica calabrese su alcuni temi continui a recitare una parte scontata e a vivere di slogan e propaganda, basta far notare ad Occhiuto che se dovesse essere coerente con quanto affermato in ordine all’importanza dei procedimenti giudiziari in corso nei confronti di esponenti politici, quanto meno lui stesso (Occhiuto) dovrebbe minimo cambiare partito. Roberto Occhiuto, infatti, a proposito di procedimenti giudiziari, non milita per caso in un partito (Forza Italia) il cui fondatore – Silvio Berlusconi – è stato condannato in via definitiva per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita? (processo Mediaset con pena già scontata). E l’altro fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, non è stato condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa?

Il silenzio di Roberto Occhiuto – rispetto alle dichiarazioni del collaboratore Bartolomeo Arena (che “bolla”, non si sa allo stato in base a quali elementi oltre alla rivendicata amicizia personale con Mangialavori, come “maldicenze”) – si registra invece sulla “chiamata in causa” da parte del pentito dell’ex senatore di An Francesco Bevilacquacoordinatore regionale di “Cambiamo”, formazione politica che corre a sostegno dello stesso Occhiuto. In ogni caso Occhiuto – almeno nel Vibonese ed a differenza di quanto accade a Roma e nei palazzi della politica nazionale – si ritrova in buona compagnia. Mentre infatti alcuni esponenti del Pd di Vibo Valentia non hanno esitato a mettere il loro pubblico “Mi piace” al post del presidente della Provincia Salvatore Solano, i parlamentari locali del Movimento Cinque Stelle, Riccardo Tucci e Dalila Nescitacciono su entrambi gli argomenti: non una parola né sul coinvolgimento del presidente della Provincia in un’inchiesta antimafia, né mezza parola sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena (che la Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore  Nicola Gratteri, ritiene fra i principali collaboratori a sostegno dell’impalcatura accusatoria di Rinascita Scott) sul coordinatore regionale di Forza Italia Giuseppe Mangialavori e su quello di “Cambiamo” Francesco Bevilacqua. Le prossime settimane saranno decisive per capire se la scelta di tacere sia stata utile al territorio, ai vibonesi ed alla Calabria. Perché a sfilare alle manifestazioni antimafia e ad essere in prima fila nei convegni ad applaudire Gratteri (come ama spesso ripetere lo stesso procuratore) i politici calabresi sono uno più bravo dell’altro, mentre ad essere però consequenziali con quanto si applaude… molto meno.