In Calabria la Settimana Santa ha un’importanza particolare, processioni e riti unici nel loro genere che affondano le radici in passato molto lontano. A Nocera Terinese, comune tirrenico del Catanzarese, da secoli, il venerdì e il sabato che precedono la Santa Pasqua, si ripete il rito dei Vattienti.

Tanti anziani, ma anche molti giovani, che si percuotono le gambe con degli strumenti particolari durante le processioni della statua della Madonna Addolorata venerata dai fedeli noceresi. Si tratta di una pietà lignea di scuola napoletana risalente alla fine del ‘500 che viene portata in spalla dalla confraternita dei portantini, che compiono un percorso non semplicissimo, affrontando scale e salite molto ripide. 

Vittorio Orlando è uno di loro e dal 1982 compie anche il rito di flagellazione: «La Madonna e Gesù mi danno la forza di fare entrambe le cose. Porto la statua dal 2004, invece come vattiente non compio più il giro completo perché sono stato operato al cuore. La mia devozione è verso la statua quindi ora mi flagello davanti a essa, passo davanti alla chiesa e poi torno». 

In molti pensano che i Vattienti siano anche loro una sorta di confraternita che si organizza ed esce in gruppo durante i cortei religiosi, ma non è così. Ogni vattiente si prepara e compie il percorso in maniera autonoma o in piccoli gruppi principalmente formati da persone appartenenti della stessa famiglia. Gli strumenti usati sono due: la “Rosa” e il “Cardo”. Il primo è un disco di sughero largo un paio di centimetri con il quale il flagellante si percuote per fare confluire il sangue sulla parte posteriore della gamba e per pulirsi.

Il Cardo è sempre un disco di sughero sul quale però vi è una colata di cera con 13 pezzettini di vetro incastonati (12 apostoli più Gesù) che appunto vanno a bucare le cosce e i polpacci dei vattienti facendo fuoriuscire il sangue. Durante il percorso il vattiente è accompagnato da due figure: l’Ecce homo e il portatore di vino. Il primo sta a rappresentare proprio Gesù flagellato e solitamente è un bambino che segue il vattiente portando sulle spalle un croce di legno rossa e in testa una corona di spine. La seconda figura invece è quella che sta di fianco al vattente durante l’atto della flagellazione e versa il vino sulle gambe per sterilizzare e pulire le ferite.

Abbiamo intervistato Emanuele Rotundo, un 40enne che da una decina d’anni compie il rito e gli abbiamo chiesto perché lo fa: «Non c’è un motivo particolare che ci spinge a farlo. Da esseri umani può capitarci di tutto, nella mia famiglia ci sono stati degli eventi che mi hanno motivato ad avvicinarmi a questo rito che comunque ho sempre vissuto fin da bambino. Qui si cresce con questo rito. Il nostro rapporto con la Madonna non è materiale, qua non andiamo al museo ad osservare una statua, è un rapporto madre figlio. A lei ci rivolgiamo, lei preghiamo, a lei rendiamo grazie. Quest’anno come popolo nocerese siamo stati testimoni di una grazia che ha ricevuto una ragazza di questo paese, forse abbiamo capito veramente quanto lei convive con noi e noi con lei».