Un luglio che è un alito di drago. La calura avvinghia la Sila, da sempre riparo dai periodi tropicali delle città. Sul corso poche persone, albergatori sulla soglia ad aspettare i turisti fedeli che non si faranno vedere prima della fine del mese. Non c’è neanche il trenino bianco, rosso e blu, che sputa fuori le hit da discoteca miscelate alle Macarena sparate a un volume che spacca la barriera del suono. I bimbi si divertono, rispondeva lo scorso anno il "capotrenino" a chi viveva nei dintorni del suo passaggio e se ne stava con le mani sulle orecchie.

Aspettando il trenino

Sila, tutto uguale all’anno prima. Alla piccola stazione ferroviaria di Camigliatello si martella. Operai in tuta arancione spostano, sistemano. Il treno della Sila, informano dall’hotel lì vicino, riprenderà le sue corse tra qualche settimana, riprendendo a fischiare tra Moccone, Camigliatello e Silvana Mansio.

«È bella così, la Sila ci mette il suo con la bellezza e la natura, certo mancano dei servizi, ma lì serve la politica», Pino Falcone, commerciante storico alza lo sguardo sul grande pino che fa ombra davanti al suo negozio. «Ma quest’anno sarà diverso, andrà meglio». Il virus ha allentato un poco la presa, e ci saranno meno mascherine sul corso ma per il resto, chi torna avrà la certezza che troverà tutto uguale.

Sul lago Cecita grosse radici emergono dall’acqua dolce. Qualcuno ha steso delle coperte sulla riva e prende il sole, mangia un panino comprato un po’ di chilometri in là, dove c’è qualche bottega aperta perché nei dintorni non c’è un posticino neanche per comprare una bottiglietta d’acqua.

Turismo in quantità

«Adesso non ci sono turisti, ci sono gli affezionati, quelli che non amano la confusione, vogliono stare in pace a farsi le passeggiate». Ma la confusione è un attimo da queste parti dove la quiete è sovrana, pure troppo. Solo nella settimana di Ferragosto i vigili fischiano agli incroci per evitare che le auto mettano sotto i pedoni, i parchi si riempiono di tavolate di giornata e i barbecue si riaccendono. Nelle altre, la migrazione vira verso le coste goderecce, risucchia tutta la folla che poi, stancamente, si trascina verso la montagna ma per poco, giusto il tempo di spolverare anzitempo il giubbino jeans da tirare fino al collo a sera, farsi un giro a cavallo, un percorso al Parco nazionale, al massimo una mezza giornata al parco avventura, e un panino dove consigliano che è davvero buono. 

«Siamo ottimisti, questa sarà una buona stagione, stiamo tornando a vivere». Marco gestisce un B&B, parliamo mentre alle sue spalle le lucine lumeggiano su un albero di Natale eterno, allestito per tutte le stagioni. «Luglio è della Calabria, agosto è dei siciliani, pugliesi, abbiamo il registro pieno di prenotazioni, aspettiamo qui anche la nazionale di pallavolo maschile under 19 che farà a Camigliatello il ritiro».

Ma cosa manca a questo posto, il posto con l’aria migliore d’Europa, cosa che si mormora come una retorica preghiera ogni volta che salta fuori l’argomento Sila. Forse la domanda è: chi sa di cosa ha davvero bisogno la Sila?

I ninnoli vintage e il cielo delle stelle

Il sole picchia forte, neanche un alito di vento ad accarezzare le mazzette di macchine fotografiche con le immagini del lago Cecita degli anni Settanta, le scatolette bucate con il muggito delle mucche incastrato dentro, le cartoline con i saluti dalla montagna, i pisasale tra l’enorme e il minuscolo, gli stracci decorati, i classici moniti in cuoio da appendere in cucina contro mariti, mogli o suocere megere; scacciapensieri, la spilla da sceriffo, il necessaire di plastica per giocare a golf.

Ruderi di barche guardano il lago Ampollino, uno scorcio selvatico, apocalittico, dove l’acqua scende sempre di più verso il basso. Qualcuno ci piantava ombrelloni sulla riva, come fosse una spiaggia, e si bagnava i piedi prima che si freddassero all’ombra dei pini. 

San Lorenzo e la sua chiesetta da “Kill Bill” è il posto più fotografato, più social, più instagrammabile, il paradiso dei blogger che filtrano le foto al tramonto quando il lago si stende tra i campi di patate. Ad agosto, di notte, si guardano le stelle lì con i telescopi, gli astri con il buio assoluto, che circonda gli appassionati di astronomia, sembrano più grandi, brillanti, con una bottiglia di vino rosso ché per la birra fa troppo freddo. 

«Molti avevano aspettato prima di prenotare – continua l’albergatore – per via della strada interrotta, ma ora hanno riaperto tutto e le prenotazioni stanno arrivando. È che serve una manutenzione costante per assicurare che tutto funzioni, la Regione dovrebbe fare di più altrimenti ci troveremo ogni anno punto e daccapo».

Ponti chiusi, ponti aperti, ponti feriti

Già la strada. Il famoso ponte di Celico, un uomo ferito che quasi non ce la più a camminare, puntellato, monitorato, chiuso e poi riaperto, e poi il viadotto Gangarello, fino a una settimana fa chiuso anche lui per lo stesso problema: l’età che avanza. Le deviazioni sono l’incubo di ogni viaggiatore che deve raggiungere l’altopiano che nella peggiore delle ipotesi si trova a dover percorrere le curve del vecchio percorso. Non proprio una comodità. Prima o poi qualcuno dovrà prendere una decisione su questi viadotti, intanto lavori in corso, infiniti.

Adesso i ponti sono liberi, si passa, e a guardare i manutentori al lavoro accanto alla strada vengono i brividi. Tra gli operai e il vuoto solo un recinto di legno, in galleria, poi, lavorano totalmente al buio, inerpicati su a sistemare l’illuminazione in due punti, mentre le auto gli passano a un soffio e gli automobilisti si fanno il segno della croce rallentando.

A Fago del Soldato l’aria dei pini ti entra subito nei polmoni e poco più in là, girando per Moccone, due curve e al profumo del sottobosco si unisce quello della carne grigliata. Qui in Sila se vuoi comprare il tamburello lo trovi, se serve un salvagente eccolo, se giochi a ping pong basta chiedere. I calzoni da sci in vetrina hanno ancora la fantasia dei pacchetti Merit, il negozio di pellami ha fissi gli sconti al 40%, secchiello e paletta si vendono in coppia, magneti per il frigo tanti al chilo: a cipolla, a fungo, a cestino di patate. Dall’ago al trattore, così si dice ancora quando il villeggiante rompe il filo di un’accensione, buca un calzino, perde la catena della bici, partecipa a una caccia al tesoro, riferito alla bottega che ha la fama di scrigno dell’indispensabile e del superfluo, un po’ ferramenta un po’ stregoneria, di quel tipo che odora di Vinavil e lavoretti di fino.

Qualcuno dice che è meglio così, che la Sila sia dimenticata da chi comanda, «perché se ci mettono mano rischiano di rovinarla» ma intanto in Regione parlano di un piatto ricco, una trentina di milioni, pronti a essere investiti per la grande Regina con i piedi loricati.

Trottole e Graal

I ristoranti sono aperti, per negozi si va ancora a caccia della trottola che s’accende e fa musica, posta sempre accanto allo strummolo a corda. Lembi di plastica leggera sigillano con strisce di cartone la vasca dei pesciolini meccanici, la scatolina con lo scorpione a molla fa paura per due euro a confezione, i feticci d’infanzia degli anni ’80 sono una naturale gallery di memorabilia da sfogliare con le mani per stupirsi di quanto tempo è passato.

Ti lasci tentare e ricompri lo stesso tiro a segno che avevi a dieci anni: per magia, come il Graal di Indiana Jones, appena l’oggetto varca il confine del negozio perde il suo potere e il suo fascino e lì ti rendi conto che non ci giocherai mai più se non nei tuoi ricordi.