VIDEO | Molti comuni del territorio costretti a razionare per evitare il peggio. A rischio anche gli ulivi secolari mentre per gli agrumeti va anche peggio. L'imprenditore Domenico Migliaccio Spina: «Non c'è memoria di una crisi così intensa». E la diga sul Lordo resta desolatamente vuota
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File alle autobotti e secchi e bacinelle negli angoli di bagni e cucine per i momenti di secca: la mancanza di acqua in provincia di Reggio comincia a prendere una piega drammatica, con molti comuni costretti a continue interruzioni del servizio (soprattutto di notte) per consentire ai serbatoi di raggiungere la capienza minima che servirà durante il giorno, e indaffarati a scrivere ordinanze (per lo più inascoltate) per un uso più ragionato dell’acqua. Nel Reggino non piove da settimane e, quando succede, le precipitazioni generalmente brevi e molto violente tipiche degli ultimi anni, impediscono al terreno di assorbire l’acqua che andrebbe a rifornire fonti superficiali e falde in profondità finendo poi con lo “scivolare” sui versanti collinari per disperdersi a mare. Una situazione che va avanti ormai da anni e che, mista alle scarsissime precipitazioni nevose, alle perdite nelle condotte, ai troppi allacci abusivi e all’uso “disinvolto” che molti calabresi continuano ancora ad avere con quel poco di acqua che esce dai nostri rubinetti, ha portato le riserve a scendere pericolosamente sotto il livello di attenzione.
Un problema serio che per i cittadini di tanti centri grandi e piccoli dell’area metropolitana, Reggio in testa, si ripropone nella sua drammaticità ogni estate ma che, ormai da qualche anno, ha aperto ferite profonde anche nelle aziende agricole della zona. Ferite così profonde che hanno causato rilevanti perdite di produzione anche a quelle coltivazioni che di acqua non ne necessitano tanta. Come gli ulivi che da secoli fanno da cornice alle colline della Locride.
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Le aziende agricole in difficoltà
Domenico Migliaccio Spina è un giovane imprenditore di Locri. La sua azienda di circa 40 ettari produce la “geracese”, la tipica oliva di questo territorio molto fruttata e dal sapore delicato, ed è caratterizzata da numerose piante plurisecolari che, pur avendo bisogno di pochissima acqua, da tempo, a causa della siccità prolungata, hanno più che dimezzato la produzione. «Non c’è memoria di una crisi così intensa – racconta l’imprenditore a Lacnews24 – una volta l’annata di “scarica” era fisiologica, ma poi l’anno successivo il raccolto era soddisfacente. Ora invece ad annata pessima si susseguono altre annate pessime. A causa della siccità prolungata e della pessima gestione che negli anni si è tenuta con le riserve d’acqua superficiale e di falda, anche gli ulivi che riescono a fruttare a giugno, poi non riescono a portare avanti il frutto. L’anno scorso, che doveva essere anno di “carica”, è capitato che su molte piante, a novembre, la polpa non fosse ancora cresciuta. Ormai chi non riesce ad aiutare le piante perde gran parte del prodotto e nel caso degli ulivi piantati secoli fa, anche irrigare diventa complicato perché i “sesti” non sono ordinati come succede con le coltivazioni più recenti».
E se per le coltivazioni di olivo (in provincia di Reggio la più importante per fatturato e produzione) le cose non vanno bene, per gli agrumeti vanno anche peggio: gli alberi di arance e di mandarini infatti hanno bisogno di essere irrigati con maggiore continuità e i danni provocati dalla minore disponibilità d’acqua sono ancora più evidenti, con gli imprenditori agricoli costretti a ricorre a pozzi che, con la ridotta portata delle falde, devono essere scavati sempre più a fondo. «Per irrigare i nostri agrumeti – dice ancora Migliaccio Spina – abbiamo dovuto portare i pozzi fino a 270 metri di profondità, con un aumento esponenziale dei costi di realizzazione e di gestione (un pozzo di questo genere costa quasi 30 mila euro, ndr)».
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La beffa sul Lordo
E se la siccità di questi ultimi anni è certamente un problema legato ai cambiamenti climatici, molti dei gravi disagi che si ripercuotono quotidianamente su cittadini e imprenditori dipendono da una gestione scellerata della risorsa idrica, che a fronte di investimenti imponenti e progetti faraonici, presenta una rete colabrodo e, nella Locride, anche una diga pressoché inutile, desolatamente vuota e capace di fagocitare decine di milioni di euro di risorse pubbliche.
L’invaso, appoggiato alla collina su cui si trova Siderno Superiore, infatti è vuoto da più di 10 anni, da quando cioè i tecnici del consorzio di bonifica (che gestisce la diga di proprietà regionale) si accorsero che un costone dell’invaso era interessato da un movimento franoso sotterraneo che, in breve tempo, ha reso inagibile la camera di manovra che consente di stabilizzare la portata dell’acqua. Un danno venuto fuori probabilmente da un errore di progettazione e che si è acuito durante la (breve) esperienza operativa della diga e che ha costretto il consorzio a svuotare la struttura che, dal 2013, è rimasta di fatto come un grosso buco vuoto (ma capace almeno in teoria di contenere 9 milioni di metri cubi d’acqua dolce).
Un nuovo progetto da circa 20 milioni di euro, l’ennesimo su un progetto costato già oltre 70 miliardi delle vecchie lire, dovrebbe consentire il nuovo riempimento dell’invaso che potrebbe portare sollievo ad un territorio stremato dalla mancanza d’acqua. Con la speranza che questa volta lo colleghino all’impianto di potabilizzazione costruito dalla Sorical (due milioni di euro di investimento per una struttura mai entrata in funzione perché non connessa alla diga stessa e negli anni depredata e vandalizzata) e alle condotte in grado di rifornire di acqua le attività agricole del territorio.