VIDEO | Il cantiere è ancora aperto ma non sono stati individuati gli altri due punti di stoccaggio. I sodalizi locali, poi, chiedono un approfondimento vista la presenza nell'area di una falda acquifera
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Slitta a novembre, se tutto va bene, il completamento della discarica di Melicuccà, e i tempi che si allungano fanno riaffiorare proteste contro la decisione della Regione e della città metropolitana di riattivare il sito per lo smaltimento dei residui di lavorazione degli impianti di trattamento dei rifiuti. Quindici milioni stanziati dal primo governo Conte, che l’estate scorsa – nel vivo dell’ultima emergenza rifiuti – la Regione aveva destinato alla messa in sicurezza e riapertura del sito.
Un gruppo di associazioni di Palmi e Bagnara, dopo aver convocato una assemblea – aperta a 2 tecnici dell’ex Provincia – rinverdiscono gli argomenti di una contestazione che dura dal 2012, con una specificità che però è sopraggiunta. «Nell’incontro avuto – spiega Marco Misale, coordinatore del Circolo Armino – il dirigente della Metrocity ha detto che i tempi di saturazione della struttura cambiano se dovesse cambiare la funzione della discarica, ovvero se rimane al servizio solamente di questo terriotrio o per tutta la Calabria». Insomma un dubbio inedito, visto che ad oggi l’area è considerata solo funzionale alle esigenze dei 3 impianti del Reggino, con i sindaci che caldeggiano la soluzione locale anche per evitare di continuare a inviare le ecoballe in Puglia e con costi altissimi.
«Se rimane così come è – rilancia il sindaco Emanuele Oliveri – l’impianto andrà in saturazione tra 3 anni». Insomma il condizionale sembra d’obbligo, e non si può mai sapere vista la pianificazione che nel settore dei rifiuti cambia di continuo. «Ad oggi sappiamo – prosegue il sindaco di Melicuccà - che la Città metropolitana, dei tre siti che la Regione aveva obbligato a trovare, sta per attivare solo questo contrada La Zingara, visto che ancora non è stato deciso dove collocare le discariche gemelle dell’area dello Stretto e della Locride». Ma le associazioni incalzano gli enti anche per un'altra questione.
«Il codice ambientale vieta l’apertura di discariche nei pressi di una falda acquifera – attacca Misale – e in questo caso la sorgente dell’acquedotto consortile è situato sotto l’invaso che conterrà i risiuti e dista meno di 3 km in linea d’area». Sul punto, i sindaci sono pronti a dirsi «vigili», ma anche operativi. «Nessun amministratore vuole far correre rischi del genere ai propri cittadini – argomenta Oliveri – noi sappiamo che tutte le relazioni fatte dall’Arpacal, dai tecnici di vari amministrazioni regionali e de periti nominati dalla procura, smentiscono il rischio di inquinamento. Non di meno, però, siamo pronti a chiedere alla Città metropolitana un ulteriore approfondimento».