Dal Pollino allo Stretto già si produce quasi tutta l'energia che serve ai calabresi ma il business dei nuovi impianti non conosce soste. Ormai anche la Locride è stata colonizzata. Ma ora a sollevare le maggiori perplessità sono le megastrutture offshore progettate nello Jonio. Ecco lo stato dell’arte in tutte le province
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Per terra e per mare. L’assalto delle multinazionali delle rinnovabili al territorio (e al mare) calabrese è iniziato da tempo, muovendosi contemporaneamente su entrambi i fronti e, grazie ad una legislazione (nazionale e comunitaria) che «accredita la tesi dell’esistenza di un favor particolare per l’installazione di strutture dedicata alle fonti rinnovabili», riempiendo di nuovi progetti di parchi eolici sempre più grandi le “caselle” rimaste libere sulla mappa della Regione. Una conquista favorita dal decreto energia firmato dal Ministro all’ambiente e alla sicurezza energetica Pichetto Fratin e che ha trovato sponda nel “piano integrato energia e clima” approvato dalla Regione nel luglio scorso. Ed è proprio grazie a quel documento preliminare che allarga le maglie dei territori potenzialmente “colonizzabili”, sia sulla terraferma che in mare aperto, anche con impianti di grossa taglia (come quello monstre di Krimisa, previsto a largo di Isola Capo Rizzuto) senza peraltro fissare alcun limite che non sia quello già tracciato da precedenti vincoli di natura ambientale, paesaggistica o storico-culturale, che i colossi delle rinnovabili hanno trovato terreno fertile.
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Oltre l'autosufficienza energetica
«L’analisi del contesto energetico calabrese al 2020 – si legge nel Piano regionale integrato energia e clima (Priec) approvato dalla Giunta regionale la scorsa estate – evidenzia un significativo aumento nel tempo della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, giungendo alla copertura dell’86% della domanda di energia elettrica calabrese». Una sostanziale autosufficienza energetica (garantita anche dalle 4 centrali a turbogas presenti in regione) costruita grazie all’aumento esponenziale di parchi eolici e fotovoltaici sorti un po’ ovunque negli ultimi anni sul territorio calabrese e che, si legge ancora sul documento «non soddisfa soltanto il fabbisogno interno regionale, garantendo, altresì, l’esportazione oltre regione dell’energia elettrica necessaria a coprire il fabbisogno energetico derivante dal sistema interconnesso di cui la Regione fa parte».
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Pioggia di richieste dopo la deregulation di Fratin
Nel 2021, anno di riferimento del Piano energetico regionale, gli impianti eolici attivi in Calabria erano 426 per un potenza lorda sviluppata di 1175 MW che garantiva allora (gli impianti negli ultimi due anni sono aumentati e ancora più numerose sono le nuove richieste arrivate nel frattempo al Mase) più del 18% dell’energia pulita prodotta in Calabria. Sei punti percentuali in più dell’idroelettrico che, a fronte di 60 impianti presenti sul territorio regionale, è capace di sviluppare una potenza di quasi 800 MW. Numeri importanti e che sono destinati ad aumentare vista la pioggia di richieste arrivate negli ultimi mesi e che mettono sul piatto la creazione di numerosi altri parchi eolici: alcuni andranno ad appesantire i paesaggi dell’entroterra crotonese, catanzarese e reggino, e altri, molto più grandi e capaci di produrre energia direttamente in alta tensione, che andranno ad occupare le acque (vicine e lontane) di fronte alle spiagge dello Jonio da nord a sud. Con tanti saluti alle proteste di comitati di cittadini, associazioni ambientaliste, sindaci e amministratori locali che, di fatto, restano bypassati dalle nuove normative ultrasemplificate per ridurre i tempi e correre dietro agli obiettivi fissati su carta e che quei progetti se li sono ritrovati davanti quasi come fatto compiuto.
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Alle popolazioni residenti solo qualche contentino ma niente sconti sulla bolletta
A fronte della massiva occupazione di fette sempre più grandi di territorio poi, quello che resta alle popolazioni che quei territori li abitano, è una manciata di spiccioli in opere di compensazione e nessuno sconto sul costo dell’energia, anzi. Dietro l’angolo infatti, resta la possibile beffa di un rincaro in bolletta che andrebbe a coprire i possibili aiuti statali alle compagnie costruttrici. E se, dal canto suo, il presidente della regione Sicilia Renato Schifani ha già messo le mani avanti, facendo la voce grossa con il Governo e pretendendo l’esclusione del ricarico dei previsti aiuti pubblici sulle bollette degli isolani, da parte del governatore Occhiuto non è ancora arrivata nessuna presa di posizione.
Sono le stesse multinazionali a spingere sul tasto degli incentivi pubblici, visto l’aumento esponenziale dei costi di produzione e di gestione per gli impianti. Aumenti che, negli ultimi due anni, hanno fatto diminuire gli investimenti sull’eolico nel contesto europeo che, scrive “Wind Europe”, l’associazione che raggruppa i maggiori produttori europei di eolico, sono passati dai 19 GW di potenza generata negli impianti costruiti nel 2021, ai 13 GW garantiti dai nuovi impianti costruiti nell’anno successivo. Un calo dettato dall’aumento esponenziale dei costi di gestione dei nuovi e sempre più grandi impianti (soprattutto offshore) e che sta convincendo le società di rinnovabili a spostare i propri interessi dal Mare del Nord alle coste del Mediterraneo dove i costi, viste le condizioni diverse in alto mare, seppur ancora molto alti, sono decisamente più abbordabili.
E così, nel far west apertosi con la semplificazione delle procedure burocratiche, le domande per la costruzione di nuovi impianti si sono moltiplicate in tutto il sud Italia, con la Calabria che insieme a Sicilia e Sardegna si è ritrovata a fare, suo malgrado, la parte del leone.
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L'assedio via terra per conquistare la Locride
Ultimo in ordine di tempo, il solitario impianto di Antonimina, nella Locride, costruito in meno di una settimana dagli operai della “Wind 18” e piazzato, nel silenzio generale della politica locale, tra la maestosità di monte Tre Pizzi e la meravigliosa Gerace, gioiello autentico del turismo calabrese. Uno sfregio alto più di 200 metri alla maestosità dell’Aspromonte, riscattato con compensazioni di pochi spiccioli e che ha segnato una nuova tacca nel Risiko calabrese dell’Eolico: la Locride infatti non era ancora stata interessata dal fenomeno dei mulini 2.0. La costruzione dell’impianto è stato preceduta dai lavori di “sistemazione” della mulattiera che porta dalla vecchia provinciale fino a contrada Tre Arie: lavori che si sono limitati al minimo indispensabile a garantire il passaggio dei giganteschi mezzi di cantiere lasciando il resto nelle stesse pessime condizioni. «Ci avevano detto che ci avrebbe ucciso la ‘ndrangheta, ed ecco che ci ammazza il progresso – aveva scritto lo scrittore di Africo Gioacchino Criaco all’indomani della costruzione della gigantesca torre – Oggi la Locride muore, nessuno dei suoi soldati risorge per mettere uno scudo tra noi e la vergogna. Moriamo così, senza spargimento di sangue, soffocati dal prezzo del nostro onore, che è costato molto meno di 30 denari».
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Il Cammino Basiliano all'ombra delle pale
Caduto ormai l’ultimo baluardo regionale, il terreno sembra pronto ad un nuovo intervento, questa volta ad Agnana, pochi chilometri più a nord. Qui, proprio a monte dell’inutile, costosissima e desolatamente vuota diga di Siderno, la Statkraft, colosso norvegese delle rinnovabili, è infatti pronta a costruire un impianto nuovo di zecca. Cinque torri alte più di 200 metri capaci di generare una potenza di 30 MW, da tirare su proprio nella stessa zona su cui passa il “cammino Basiliano”, il percorso escursionistico che unisce il Pollino alle montagne che si affacciano sullo Stretto e su cui la stessa Regione, in evidente stato confusionale, ha investito negli ultimi anni milioni di euro. In attesa del parere dell’amministrazione comunale di Agnana all’installazione delle torri – che non è comunque vincolante a causa delle semplificazioni procedurali del decreto energia – la stessa Statkraft, con società create ad hoc che risultano senza dipendenti e con capitale sociale di appena 10mila euro, ha presentato poi altri due progetti da realizzare nel territorio delle Serre catanzaresi.
Il fronte catanzarese
Uno, più contenuto nelle dimensioni, dovrebbe essere realizzato nei comuni di Petrizzi, Montepaone e Centrache e, con le sue cinque torri, dovrebbe essere in grado di sviluppare una potenza di 33 MW. Peccato però che sullo stesso fazzoletto di terra abbia puntato gli occhi anche un’altra società, la “Wind Energy”, che a sua volte intende costruire un ennesimo parco fatto di cinque turbine. Vantando la primogenitura del progetto rispetto a quello della Ski17 (costola italiana della Statkraft), la società pescarese ha scritto al Ministero per segnalare la sostanziale sovrapposizione dei due impianti: «La distanza – scrive l’amministratore delegato della Wind Energy - è pari a circa 19 metri, circostanza questa che inevitabilmente rende l’impianto eolico Ski 17, così come attualmente progettato, incompatibile dal punto di vista tecnico con l’impianti Eolico Montepaone».
Molto più grande invece l’impianto che la “Ski w A1” – altra costola appena venuta fuori dall’universo Statkraft – intende costruire nei vicini comuni di Chiaravalle Centrale, Torre di Ruggiero e Petrizzi. Qui le torri da installare (ognuna delle quali alta 226 metri) sarebbero 10: un parco eolico importante in grado di sviluppare una potenza complessiva di 72 Mw. L’impianto che potrebbe sorgere nei tre comuni però ha trovato, come nel caso di Antonimina, la ferma opposizione di buona parte della cittadinanza e delle associazioni ambientaliste, WWF in testa, contribuendo alla nascita di un coordinamento regionale di comitati «assolutamente trasversale dal punto di visto politico, e contrario all’eolico selvaggio in Calabria» che in questi giorni sta preparando un documento da presentare al Consiglio regionale e alla Giunta che sarà accompagnato da una raccolta firme già iniziata nei giorni scorsi. Sul parco eolico di Chiaravalle è poi calata anche la scure della Soprintendenza di Catanzaro e Vibo che, in risposta al progetto, ha protocollato al Ministero una relazione che, senza le semplificazioni procedurali degli ultimi mesi, avrebbe avuto il sapore della pietra tombale: «Questa soprintendenza – hanno scritto dagli uffici di Stefania Argenti – ritiene che l’impianto e le relative opere di connessione abbiano impatti significativi radicalmente negativi sul patrimonio culturale inteso sia nella sua componente storico-architettonica che con riguardo al contesto paesaggistico».
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Il dominio sul mare
E se i colossi delle rinnovabili hanno piantato saldamente i piedi (e gli interessi) sulle montagne calabresi, il prossimo passo, richieste alla mano, è il Mare Nostrum. Dalle coste dello Jonio cosentino e giù fino a Capo Punta Stilo, nel reggino, sono almeno sei i progetti per la costruzione di altrettanti impianti da installare in mare.
Partendo da Nord, il primo impianto che potrebbe prendere forma riguarda la costa davanti ai comuni di Corigliano, Rossano, Crosia, Calopezzati e Mandatoriccio. 28 turbine elettriche alte quasi 300 metri a cui di devono aggiungere anche due aeree destinate a piattaforme fotovoltaiche per una produzione totale stimata di 540 MW. Un’opera colossale che andrebbe ad occupare una porzione di mare grande più di 59 km quadrati e che sarebbe collegata alla terra ferma con un cavo sottomarino lungo 27 chilometri. Come compensazione all’opera che si vedrà anche dalla montagne del Pollino e della Sila, la società prevede di assumere circa 200 operai per la sicurezza e la manutenzione dell’impianto.
Il progetto più ambizioso: da solo produrrebbe quanto tutti gli impianti calabresi
Ma è riscendendo lo Jonio che le ipotesi di parchi offshore si moltiplicano, intensificandosi nel tratto di mare che parte da Crotone fino a lambire il reggino. Mastodontico il progetto della “Krimisa Floating Wind” che nelle settimana passate ha chiesto alla Capitaneria di porto di Crotone, competente per quel tratto di mare, l’autorizzazione per la concessione demaniale. Qui, le torri alte 286 metri da installare sarebbero addirittura 62 per una potenza generata stimata in 1.116 MW. Nella sostanza, il solo impianto che si vorrebbe costruire di fronte alle acque di Isola Capo Rizzuto e che sarebbe collegato alla terra ferma attraverso un cavo fino al porto di Crotone, raggiungerebbe l’attuale produzione di energia eolica accumulata in regione con il resto degli impianti su terra.
Una foresta di pale nel golfo di Squillace
Due invece gli impianti che la “Ocean Winds” intende mettere in acqua nel golfo di Squillace. Si chiamano “Fortevento” e “Fortevento2”: il primo, presentato a luglio 2022, prevede la costruzione di 39 generatori galleggianti capaci di produrre 585 MW su un’area di mare che di estende per 113 km quadrati «a 25 km a est di Soverato e a 18 km a sud di Le Castella». Il secondo impianto voluto da Ocean Winds, costituito sempre da 39 turbine galleggianti capaci di produrre 585 MW di energia, è stato ipotizzato «a 45 km da Sant’Andrea dello Jonio e 23 km da Isola Capo Rizzuto» e si dovrebbe estendere in un’area gigantesca di circa 173 km quadrati, collegandosi alla terra ferma con un cavo sottomarino che dovrebbe arrivare direttamente nel porto di Crotone. Contro l’allestimento delle due opere si è schierato anche il comune di Catanzaro che, con una risoluzione approvata in Consiglio comunale, impegna sindaco e giunta a porsi come capofila per una serie di azioni mirate a manifestare il netto dissenso all’opera.
Cavidotti lunghi centinaia di chilometri
E ancora il parco offshore “Calabria” che la “Acciona” vorrebbe costruire al largo di Roccelletta. L’ipotesi presentata dalla multinazionale spagnola prevede un parco galleggiante di 37 turbine per 555 MW di potenza stimata da collegare a terra con un cavidotto sottomarino di 51 km fino a Roccelletta, per poi collegarsi alla rete nazionale a Maida attraverso un nuovo cavidotto di 17 chilometri. Secondo il progetto, la costruzione delle gigantesche turbine è prevista nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa.
Se si esclude il progetto Minervia (presentato dalla “Falk renewables spa” che prevedeva 45 generatori a meno di 12 chilometri dall costa e bocciata in sede di conferenza di servizi), sul piatto resta infine il parco progettato da “Repower”. 33 turbine per 495 MW di potenza da allestire «a 74 km da Monasterace e 61 da Isola Capo Rizzuto» che sarebbe collegato alla terra ferma con un cavidotto offshore di 105 chilometri fin dentro il porto di Crotone. In questo caso a nulla sono servite le opposizioni formali dei comuni di Cutro, Crotone, Simeri Crichi, Isola e Cropani e della coop di pescatori Hera Lacinia: lo scorso 21 giugno infatti la conferenza di servizi presieduta dal comandante della guardia costiera di Crotone ha dato il via libera alla concessione demaniale. Ora è solo questione di tempo.