Terzo posto in classifica per numero di frane negli ultimi anni. Il dato emerge dal Rapporto Città Clima di Legambiente, che analizza le problematiche legate ai cambiamenti climatici e agli abusi edilizi: «Nel nostro Paese 1,3 milioni di persone vivono in aree ad alta criticità, ma il Governo taglia i fondi per la prevenzione»
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Non ci sono solo i cambiamenti climatici, piogge particolarmente intense che in pochi minuti trasformano un nubifragio in un’emergenza, non basta prendersela con il cielo perché i danni, quelli grossi, si generano dall’incontro con i guai combinati in terra. Abusivismo edilizio e opere che cambiano il corso della natura, che creano distruzioni soprattutto laddove c’è già una situazione di rischio preesistente causato dalle criticità proprie di un territorio. Un Paese sempre più fragile e impreparato è quello che viene fuori dal “Rapporto Città Clima 2023 – Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente con il contributo del Gruppo Unipol.
Le aree a rischio? Tutte. Ma con situazioni più critiche, come quella della Calabria dove il 17% del territorio è a «pericolosità elevata» o l'Emilia Romagna dove si sfiora il 12%.
«Dal 2010 al 31 ottobre 2023 sono stati registrati dalla mappa di Città Clima 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane da piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi», si legge nel rapporto.
L’Italia, negli ultimi dieci anni, ha speso oltre 13,8 miliardi di euro per la gestione delle emergenze meteo-climatiche. I dati della Protezione civile, in questo periodo, parlano di 141 casi, con un incremento decisivo negli ultimi anni.
Dal 2010, secondo quanto riporta lo studio, la regione più colpita dagli allagamenti causati da piogge intense è la Sicilia con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (49), Toscana (48). Per le esondazioni fluviali al primo posto c’è la Lombardia con 30 casi, seguita dall’Emilia-Romagna con 25 e dalla Sicilia con 18. La Calabria spicca per il dato sulle frane, piazzandosi al terzo posto su scala nazionale assieme alla Sicilia con 9 eventi, peggio vanno Lombardia (12) e Liguria (11) che occupano le prime due posizioni.
Gli anni delle emergenze
Gli anni scorsi, evidenzia Legambiente, sono stati caratterizzati da «una serie quasi ininterrotta di allerte e stati di emergenza che non è più possibile ignorare». La Società Meteorologica Italiana ha definito l’inverno 2021-2022 uno «tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni». Proprio in tema di precipitazioni, tra i record segnalati nel report ci sono le giornate del 24 e 25 ottobre 2021, quando nella parte ionica e meridionale della Calabria e nella Sicilia orientale furono raggiunti oltre 250 millimetri di pioggia in poche ore.
«Il 2021 – sottolinea Legambiente – è stato caratterizzato anche da una distribuzione anomala delle piogge: oltre il 20% di precipitazioni in più rispetto alle medie si erano verificate in gran parte del Lazio, Campania, Calabria e Sicilia, mentre al contrario in Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia si registrarono diminuzioni anche del 60%». Al contrario, il 2022 si è distinto per «una prolungata siccità, che ha colpito in particolare il centro-nord» e che si è protratta fino ai primi mesi del 2023, quando poi si è verificata «una forte ondata di piogge concentrate in alcune aree».
Il rischio idrogeologico
Secondo quanto rilevato dall’Ispra, in Italia 1,3 milioni di persone vivono in aree a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni sono a rischio di alluvione. I dati, si legge nel report, riguardano il 3,9% degli edifici (565mila) esposti a elevato rischio di frane e il 4,3% (623mila) esposti a elevato rischio alluvione. A questi vanno aggiunti oltre 84mila edifici industriali e commerciali in zone a elevato rischio di frane (l’1,8%) mentre sono oltre 225mila (il 4,7%) le imprese in aree a elevato rischio alluvione. «Non c’è una porzione del territorio italiano che non debba convivere con la fragilità intrinseca del territorio stesso per quanto riguarda il rischio da frane o da alluvioni, ma si arriva a situazioni come quelle della Calabria dove il 17,1% del territorio regionale è in uno scenario di pericolosità elevata per le alluvioni e in Emilia-Romagna lo è l’11,6% del territorio», scrive Legambiente.
In tutto sono 7.423 i comuni con almeno un'area classificata a elevato rischio da frane e alluvioni, corrispondenti al 93,9% dei comuni italiani e al 18,4% del territorio nazionale: «Fenomeni del tutto naturali che sono stati amplificati a dismisura negli ultimi decenni a causa di due fattori specifici: il consumo di suolo e il cambiamento climatico. Entrambi i fattori vedono l’attività antropica come responsabile».
Interventi e fondi per la prevenzione
«Di fronte a questo scenario negli ultimi decenni si è cercato di correre ai ripari, sono stati stanziati fondi, progettate opere, varate leggi e sono state fatte campagne di informazione e sensibilizzazione per arginare il problema, ma sempre in maniera discontinua e disomogenea e senza una chiara visione degli obiettivi e delle priorità – dichiara Legambiente –. Tant’è che ancora oggi i fenomeni estremi causano allagamenti, smottamenti, danni alle infrastrutture, vittime nei vari territori, esattamente come succedeva 30 o 50 anni fa, ma con l’aggravante di essere sempre più frequenti e su porzioni di territorio più ampie».
Preoccupano anche i numeri degli interventi portati a termine: «Secondo quanto riportato dal sito del Rendis - Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo - a cura di Ispra, per la prevenzione del rischio, dal 1999 al 2022, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo di 4,47 miliardi di euro, su un totale di 25.101 interventi complessivi di difesa del suolo, dal valore totale di 17,17 miliardi. Nonostante le risorse spese in prevenzione e le opere terminate, i numeri dicono che il rischio idrogeologico in Italia è aumentato nel corso degli anni».
All’indice, nel report, anche i recenti tagli alle risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico. «Stupisce – scrive Legambiente – la decisione da parte del Governo Meloni di rimodulare il Pnrr con il dimezzamento delle somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno».
Le proposte di Legambiente
Fondamentale, afferma Legambiente, la prevenzione. Educare i cittadini alla convivenza con il rischio, da una parte, e dall’altra evitare di cementificare ulteriormente il territorio. «Una vera mitigazione del rischio idrogeologico si potrà ottenere solo integrando la restituzione dello spazio ai fiumi, agendo su delocalizzazioni, desigillatura di suoli impermeabilizzati, rinaturazione delle aree alluvionali, azzerando il consumo di suolo e non concedendo nuove edificazioni in aree prossime ai corsi d’acqua».
Ed eccole, quindi, in sintesi, le proposte dell’associazione: approvare in via definitiva il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (al momento fermo dopo la fase di Vas, Valutazione ambientale strategica); approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni; superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi; costituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere la tendenza delle precipitazioni e i loro impatti sul territorio; essere preparati agli eventi estremi, attraverso il coinvolgimento dei cittadini nella gestione sostenibile delle risorse idriche urbane, la sensibilizzazione alla comprensione dei rischi e delle opportunità.