Il 5 febbraio 2010 la giunta regionale guidata da Agazio Loiero annunciava l’imponente bonifica dell’ex opera sila di Gioia Tauro, ex fabbrica di trasformazione delle olive in un’area di proprietà della regione, divenuto un ghetto dove erano stipati un migliaio di stagionali africani e dalla quale un mese prima era partita la rivolta dei migranti di Rosarno. Sono passati nove anni, il clamore della sommossa è scemato, e l’area oltre a non essere stata bonificata è divenuta una vera e propria bomba ecologica posta sulla nazionale 18 tra Gioia Tauro e Rosarno, in una zona incastrata tra distese di uliveti il termovalorizzatore.

 

In quel comunicato del 2010 si annunciava non solo la pulizia del sito, ma anche la messa in sicurezza dei capannoni e la chiusura con cancelli e porte dell’intera area. Inutile dire che nulla di quello che era stato promesso è stato mantenuto. Anzi. La carreggiata della strada che costeggia la fabbrica abbandonata è divenuta una discarica a cielo aperto. I cancelli d’entrata non esistono più da tempo e chiunque può accedere a un’area molto pericolosa. All’interno la fitta vegetazione sta inghiottendo i capannoni che cadono a pezzi, i tetti di eternit rotti sono rimasti al loro posto su strutture traballanti e l’ampia zona interna è disseminata di rifiuti di ogni genere.

 

E pensare che quando questa zona, all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, rientrava in un progetto vero di sviluppo industriale della Calabria, legato alle potenzialità e alle risorse di ogni area. Di quel sogno, qui come nel resto della piana di gioia tauro, è rimasto poco o nulla. Il sogno dell’ex opera sila, invece, si è tramutato in un incubo di montagne di rifiuti con in sottofondo il suono sinistro di una città fantasma.