Da Saladini a Ilari, passando per una politica che si è accesa solo a tratti. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato e l'addio alla Serie B, è il giorno del dolore. Ma dalle ceneri si risorge
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Il giorno più buio. Oggi la Reggina saluta il calcio professionistico, venendo spazzata via per la seconda volta nel giro degli ultimi otto anni. Era già successo, nel 2015, e aveva fatto malissimo. Allora, però, la mancata iscrizione arrivò con gli amaranto in Serie C e, forse, il salto all’indietro fu meno pesante. Quest’addio alla Serie B, invece, denota una mazzata incredibile: a livello sportivo, economico e sociale.
Ma analizziamo quanto successo e quanto potrà succedere.
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Contesto grottesco
Partiamo subito con il parlare di come si è arrivati a questo disastro. La mancata iscrizione è frutto di un quasi un lustro di gestione incosciente. Sì, la Reggina nel 2020 conquistò la promozione in Serie B ma, evidentemente, quella società non aveva basi solide e il salto di categoria fu il frutto dell’impresa di un grande gruppo di calciatori e tecnici. Iniziando a vederla così si può concepire che, senza quell’impresa sportiva, negli ultimi dieci anni la Reggina e Reggio Calabria non siano state mai in grado di produrre un giocatore. Dal 2014 a oggi nessun calciatore che si sia formato in città, in quel Sant’Agata tanto voluto dai Pratico e curato da Gallo prima e Saladini poi, è stato promosso alla prima squadra.
In tutto questo si inserisce un viavai di giocatori che sono spesso arrivati a Reggio sul finale di carriera. C’è chi ha fatto bene, come German Denis, e chi ha fatto i bagagli poco dopo, non prima di essersi riempito il portafogli. La politica, da Gallo in poi, è stata non spendere per i cartellini ma solo per gli ingaggi. Una strategia che non ha portato a una singola plusvalenza in quattro anni, generando una costante perdita per le casse sociali, acuita dai regolari incentivi all’esodo per chi veniva mandato via da Reggio Calabria.
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E, insieme ai tesserati, andavano e venivano anche i dirigenti: direttori generali a iosa, con situazioni grottesche in serie. Dalle penalizzazioni a manti erbosi al limite della decenza, passando per malori improvvisi, interviste e denunce di aggressioni. Ne abbiamo viste davvero di tutti i colori.
Sentenza evidentemente politica
Arriviamo alla sentenza che oggi ha definitivamente estromesso la Reggina dalla Serie B. È evidente come ci sia tanta politica in una decisione che scricchiola a livello giuridico. Certo, che Saladini sia stato arrogante e completamente illogico nel non pagare quei 757mila euro è innegabile. È chiaro ed evidente, però, come le sentenze Lecco e Reggina stonino, nonostante il tentativo del Consiglio di Stato di spiegare perchè non siano stati applicati due pesi e due misure sulla perentorietà dei termini d’iscrizione.
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La verità è che lo stralcio del 95% dei debiti operato da Saladini era un problema per il sistema calcio, per via di una legge di Stato mal scritta per lo sport. Ma, essendo in vigore, la Reggina l’ha seguita e avrebbe, sulla carta, meritato di vincere la partita. Evidentemente, però, per qualcuno sarebbe stato un problema ancor più grande di un CT che si dimette e di due Mondiali mancati e, allora, via la Reggina dal calcio professionistico.
Colpe di tutti
Le colpe di questo disaster movie sono di tutti. Sono di Luca Gallo, che ha generato il grosso dei debiti che hanno dato il via allo sfascio, così come di Felice Saladini. Di Manuele Ilari ci limitiamo a dire quanto fosse assurda la presenza e la sua parentesi in merito: sin dal primo giorno, era evidente che con lui la Reggina fosse giunta al capolinea definitivo.
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E se Gallo ha inquinato il giocattolo, Saladini lo ha rotto con arroganza e superficialità. Ciò che ha fatto e fa più rabbia è proprio il modo altezzoso con cui lui e Marcello Cardona si sono imposti. Arrivando, dando spesso spiegazioni quando meglio conveniva. Ad aprile, nel noto pranzo con la stampa, si è chiesto ai giornalisti da che parte si intendesse stare. La riposta la diamo oggi, come l’avremmo data quel giorno qualora fossimo stati presenti: “Da quella della Reggina”.
Politica? A tratti e spesso per sponsor
A proposito di colpevoli, tocchiamo l’aspetto politico. Nell’ultimo periodo abbiamo visto lo specchio perfetto della qualità della politica locale, che poi altro non è riflesso di quella che guida il paese. Ci si è mossi male, in maniera tardiva e spesso con l’obiettivo, a voler essere maligni, più di volersi mettere in mostra a livello personale che per interesse concreto verso quello che per Reggio Calabria è un motore sociale ed economico importante.
Versace e Brunetti si sono spesi nell’ultima parte di partita, quando però il destino era probabilmente segnato. Almeno loro avranno un tempo supplementare: gli spetterà il compito vitale di scegliere i migliori soggetti possibili per la ripartenza, di cui parleremo a breve. Per tutti gli altri, meglio l’oblio: c’è chi ha ottenuto il colpo di stato oltre il tempo massimo, ergendosi a salvatore di una patria che era già stata conquistata, e chi si è limitato a comunicati e note stampa in cui si sottolineava l’ovvio, ovvero il valore della Reggina e la necessità di rispettarla.
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Al succo, comunque, è inevitabile riflettere su un aspetto: quest’estate sia la Viola (a giugno/luglio), che la Reggina sono state avvicinate da soggetti imprenditoriali di dubbia entità, con trattative fiume sfociate nel nulla più assoluto. I neroarancio e gli amaranto se tutto va bene saranno al quarto livello dello sport di competenza: a voler essere maligni, nuovamente, potremmo dire che rispecchiano lo stato di una città che ha potenzialità enormi ma non vuole saperne di applicarsi.
Dalle ceneri
Cercando di ritrovare un filo di positività fra le lacrime, il dolore e l’amarezza di questo epilogo tragico, ci vien da dire che l’unica nota positiva è che il colpo di spugna permetterà di ripartire. Dalla Serie D, ma chiudendo diciotto mesi di teatrini e onte sempre più pesanti. Quel che ci preoccupa, però, è da chi lo si farà. Le indicazioni che arrivano sono profondamente diverse da quelle che, negli ultimi anni, abbiamo visto a Bari (De Laurentiis), a Catania (proprietà italo-australiana), a Palermo (dove si è arrivati fino al City Football Group).
La speranza è di essere smentiti e, anzi, saremmo fieri di avere una proprietà locale che porti di nuovo in alto una piazza che ha chiuso la Serie B 2022/23 al quinto posto per media spettatori.
C’è da ridare dignità, da mettere nuovamente la chiesa al centro del villaggio. Servono idee, serve gente fresca, sveglia e onesta. Altrimenti ci si è risvegliati da un incubo, che è durato anche troppo, per riaddormentarsi e iniziarne un altro. L’analisi del giorno più buio termina qui, con le lacrime che bagnano una tastiera da cui sono partite delle notizie che non avremmo mai, mai, voluto dare.