La storia recente della squadra amaranto è un calvario di errori e scarso peso politico nella Lega. Uno stillicidio quotidiano per migliaia di tifosi sedotti e abbandonati che adesso vedono allontanarsi anche la prospettiva della nuova proprietà londinese (ASCOLTA L'AUDIO)
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Quando sono passate da poco le otto dell'ennesimo lunedì di passione per i tifosi della Reggina, piazza duomo sembra uno spicchio di curva sud: avvolto dalle bandiere e colorato dai torcioni amaranto, il salotto buono della città dello Stretto brucia di passione, ultimo appiglio di una tifoseria disperata appesa alle bizantine decisioni degli organi della Federazione e al comportamento incomprensibile di una società bipolare che proprio lunedì, a due passi dal baratro, ha diramato le convocazioni per la prossima stagione.
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Ci sono gli ultras della curva a tirare i cori di questo strano lunedì di metà estate sottratto al calcio mercato e sostituito con l’ennesima tarantella giudiziaria cucita sulla pelle di una citta perennemente sull’orlo di una crisi di nervi. Una tarantella dai contorni surreali che il mondo del calcio italiano sta “componendo” in barba ad ogni logica, con la malcelata illusione di poter sottrarre lo stesso mondo del calcio, e le sue mille contraddizioni, al mondo reale.
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Nella paradossale vicenda dell’esclusione della Reggina dal prossimo campionato di serie B infatti sono tante le cose che non tornano. Non torna la “sentenza” di primo grado della Covisoc – una decina di righe striminzite che farebbero sorridere uno studente al primo anno di giurisprudenza – non torna il giudizio d’Appello che non ha nemmeno preso in considerazione il saldo dei famosi 700 mila euro che, forte di una sentenza di un tribunale della Repubblica, la società non aveva pagato entro il termine perentorio fissato dal regolamento pallonaro. Così come non torna la stessa perentorietà dei termini fissati dalla federazione visto la decisione di riammettere il Lecco che quello stesso termine perentorio lo aveva a sua volta bucato. E non tornano nemmeno le dichiarazioni di Gravina che, a ferro ancora caldo, aveva sottolineato le criticità della Reggina facendole il vuoto attorno. Dichiarazioni che hanno fatto il paio con quelle del ministro Abodi che, con il gotha del calcio indebitato fino al collo, «si è preso la briga e di certo il gusto» di puntare l’indice contro la compagine dello Stretto che, pur avendo concordato con lo Stato una via d’uscita legalmente valida, aveva sottolineato la direzione «opposta rispetto all’equa competizione» intrapresa dalla società.
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E soprattutto, non tornano i giochi pericolosi orchestrati da Cellino, presidente di una società retrocessa sul campo in terza serie che, forte del suo passato come presidente di Lega nel terremoto post calciopoli, ha messo in campo tutto il suo arsenale politico-pallonaro. Se si parla di rispetto delle regole infatti è difficile prendere sul serio un presidente che, storia di un paio di settimane fa, aveva placidamente raccontato ai microfoni di Report di come avesse dato alle fiamme una serie di faldoni zeppi di fideiussioni false e bilanci addomesticati prima che gli agenti della guardia di finanza facessero irruzione negli uffici di via Allegri a Roma. Roba che, a parti inverse, avrebbe probabilmente provocato l’immediato commissariamento non solo della Reggina ma anche dal Messina, della Gioiese e del Locri, così giusto per andare sul sicuro.
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Il fatto che non ci siano sponde amiche negli organi federali non può però nascondere le colpe della società guidata da Saladini, l’uomo della provvidenza – l’ennesimo nella storia della società amaranto – sbarcato a Reggio come il salvatore dopo il disastro targato Luca Gallo. Il giovane imprenditore lamentino che parlava di progetto triennale per il ritorno in serie A e che, quando la frittata era già pronta, ha voltato pagina annunciando un preliminare di vendita con un fondo d’investimento che, se la Reggina dovesse andare a gambe per aria, non troverebbe continuità.
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Sparito dai radar anche l’ex prefetto Cardona – che della nuova società di Saladini era il presidente oltre che la faccia maggiormente spendibile – ai tifosi amaranto restano solo i cori di una città innamorata della sua squadra di calcio. oltre alla speranza, che da queste parti si vende a buon mercato, che affidarsi ad una legge dello Stato, anche a queste latitudini, possa servire a qualcosa.