Il presidente della Fifa, figlio di un emigrato di Cittanova, è il vincitore morale della competizione. A lui il merito di essersi battuto per introdurre il Var, risultato determinante anche in finale
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La Francia è campione del mondo, la finale di Mosca ha parlato chiaro, ha espresso un verdetto che non ammette repliche. Oltre ai transalpini, però, il Mondiale di Russia ha un secondo vincitore. Stiamo parlando di Gianni Infantino, presidente della Fifa, il massimo organo internazionale di calcio.
Figlio di un calabrese emigrato in Svizzera da Cittanova, il dirigente ha messo in piedi una competizione impeccabile dal punto di vista organizzativo, supportato anche dalla professionalità russa.
Ma a lui va un altro grande merito: l’aver portato ai Mondiali quello che fino a poco tempo fa veniva visto come uno strumento “eretico”. Stiamo parlando del Var, acronimo di Video assistant referee, l’arbitro digitale, la possibilità data al direttore di gara di rivedere su un monitor un’azione dubbia e determinante ai fini del risultato.
Il dispositivo, già utilizzato da anni in altri sport come il rugby e sperimentato in Serie A nella stagione appena conclusa, è stato introdotto a Russia 2018 grazie alla caparbietà tutta calabrese di Infantino, che è riuscito così a svecchiare un ambiente che sembrava non volerne sapere di tecnologia in campo.
E, se lo stesso Infantino ha definito il mondiale russo «il migliore di sempre», un merito va riconosciuto anche al suo intuito, visto che anche nella finale tra Francia e Croazia il Var è risultato determinante nella concessione di un rigore ai Bleus.