Un trionfo dopo l’altro, da Sidney a New York. Ovunque vadano li attendono recensioni entusiastiche, sale gremite e pubblico in piedi a spellarsi le mani per gli applausi. Poi arrivano a Vibo Valentia, in un sabato di novembre uguale a tutti gli altri sabati da queste parti. Dovranno suonare nel centro storico della città, all’auditorium dello Spirito Santo, che al di là della definizione roboante altro non è che una specie di sala parrocchiale, senza alcuna particolare attenzione per l’acustica e per la visione ottimale di chi si esibisce sul piccolo palcoscenico. Ma questo passa il convento, per ora. E, tutto sommato, viene da pensare che forse sarà più bello, più intimo, più prezioso, come scoprire un fiore nel deserto. Invece, la figuraccia per la città è clamorosa: concerto interrotto perché nella sala semivuota fa troppo freddo per suonare.

 

L’ennesima occasione persa per Vibo Valentia si è consumata ieri sera, con l’imbarazzate epilogo di un “evento” che avrebbe dovuto andare diritto nel libro dei bei ricordi ed è finito, invece, nella sterminata raccolta del “ci facciamo sempre riconoscere” .
I Solisti Aquilani, uno dei complessi di musica classica più noti e blasonati d’Italia, continuamente in tour per il mondo, aveva inserito anche il capoluogo vibonese tra le tappe del suo cartellone di novembre. In programma, c’erano opere di Mozart, Gustav Holst, Carl Maria von Weber. Un repertorio trascinante adatto anche a chi di musica classica non ne mastica ogni giorno.

 

Star indiscussa dell’ensemble è il clarinettista Alessadro Carbonare, primo clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Uno che suonava abitualmente come solista sotto la direzione di Claudio Abbado e per 15 anni ha occupato il posto di primo clarinetto all’Orchestre national de France. È stato lui, a circa mezzora dall’inizio dell’esibizione, ad annunciare intirizzito che No, non era proprio possibile continuare. Troppo freddo per suonare, ma anche per ascoltare, in una sala che, vabbé, non avrà architetture acustiche né pannelli fono assorbenti per modellare il suono, ma almeno un impianto di riscaldamento funzionante dovrebbe averlo.
E invece niente. Tanto che alcuni dei concertisti si sono presentati sul palco addirittura con la sciarpa ben avvolta intorno al collo, perché l’arte è arte, ma qua siamo ancora all’abbiccì della promozione culturale. A come “accoglienza”, B come “benvenuti”, C come i gradi Celsius che dovrebbero essere almeno 18 per evitare che la gente invece di applaudire continui a soffiarsi nelle mani, in un auditorium ricavato da una chiesa sconsacrata dai muri spessi che generano un inevitabile effetto frigorifero.

 

Che poi, di gente, non è che ce ne fosse molta ieri sera, cosa che ha contribuito a rendere la sala ancora più fredda e inospitale. Poche decine, tra cui anche il sindaco Elio Costa, ma soprattutto alcuni studenti del Conservatorio Torrefranca. Una vera e propria débâcle. Con buona pace di chi vorrebbe addirittura Vibo Valentia capitale italiana della cultura nel 2020.
«Grazie a tutti, ma noi andiamo via». I musicisti hanno stretto più forte le sciarpe, hanno riposto gli strumenti nelle custodie e hanno salutato. Bye bye Vibo, giardino sul mare.

Enrico De Girolamo

 

Le prove del concerto poi sospeso: