«Sono convinto che questa riforma non passerà. Già Forza Italia si è espressa contrariamente». Così il segretario nazionale della Federazione Medici Territoriali, Francesco Esposito, commenta la proposta di legge che ha già fatto registrare dure prese di posizione da parte dei medici di medicina generale e che prevede una modifica dello status lavorativo con il passaggio dal regime convenzionale a quello della dipendenza dal servizio sanitario nazionale. Per Esposito una riforma che accelererebbe il fenomeno dello spopolamento delle aree interne. 

Sta facendo molto discutere la proposta di legge che mira a modificare il rapporto che il mmg intrattiene con il servizio sanitario nazionale. Tutte le Regioni sono d’accordo con la riforma, nell’ottica di un più puntuale contributo del medico di famiglia nell’assistenza territoriale. Intanto, qual è la situazione in Calabria dei medici di famiglia?
«In Calabria abbiamo una situazione simile a quella che si registra in tutta Italia ma molto meno critica. Una buona fetta di medici di base supera abbondantemente i cinquant’anni d’età ma c’è anche un buon numero che supera i sessant’anni. Possiamo dire che una intera generazione di medici è prossima alla pensione. Nonostante ciò rispetto al nord Italia dove diverse aree sono sprovviste di medici di base, in Calabria la situazione è a macchia di leopardo. Gli avvisi per la copertura di alcune zone carenti vanno sempre deserti. Si tratta in particolare delle aree interne e montane, non molto gradite dai professionisti».

Sulla base di queste osservazioni questa riforma quali effetti potrà avere sull’assistenza territoriale regionale?
«Come sindacato siamo fortemente contrari a questa riforma che prevede un mutamento dello status del medico di famiglia ma soprattutto il trasferimento dei professionisti che dovranno prestare servizio all’interno delle case e ospedali di comunità. Innanzitutto è necessario sottolineare come queste opere in Calabria siamo fortemente in ritardo e non è sicuro che si riesca ad attivarle entro il 2026. In ogni caso, questa riforma contribuirà allo spopolamento dei piccoli borghi e delle aree interne che attualmente possono contare su pochi ed elementari servizi assistenziali, tra questi appunto il medico di base e la farmacia. Credo che sia necessario, nell’ambito del rapporto convenzionale, trovare il modo di riempire di contenuti le case e gli ospedali di comunità».

Tutti i sindacati dei medici si sono detti contrari alla riforma, sembra che a pesare sia per lo più il fattore economico: l’aumento delle ore di servizio a spesa invariata. Crede che questi argomenti possano risultare impopolari agli occhi dei cittadini che hanno bisogno di più servizi, soprattutto sul territorio?
«Non è affatto così, questo è solo l’effetto di una campagna mediatica denigratoria che descrive il medico di base come un professionista superpagato che lavoro poco. Dobbiamo dire che le attuali 15 ore settimanali si riferiscono alla sola attività ambulatoriale, a questa bisogna aggiungere le attività domiciliari – che durano in media mezzora o tre quarti d’ora - e la gestione burocratica relativa ai certificati medici e ai certificati di invalidità; questi ultimi con un software talmente farraginoso da richiedere almeno cinquanta minuti per ciascuna pratica. Quindici ore settimanali sono una favola. Nei piccoli comuni dell’entroterra dove un medico di base ha tre o quattro ambulatori può arrivare a lavorare fino a trenta, trentaquattro ore settimanali. Se si considera che in media un medico ha 1.500 pazienti ma può assisterne anche 1.600 per far fronte alle necessità, ho serie difficoltà a comprendere come possa anche dedicarsi alle attività all’interno delle case e ospedali di comunità. Il contratto sottoscritto nel 2023 prevede già un numero sufficiente di ore da dedicare a queste strutture con un incremento del compenso. Piuttosto si proceda ad applicare ciò che è già previsto».

In ogni caso la riforma prevede un passaggio progressivo alle dipendenze del Ssn. Quindi, i nuovi medici non avranno più un rapporto convenzionale, lei non crede che questa formula potrà attrarre più professionisti, attualmente in fuga dal sistema pubblico?
«Io ho l’impressione che il Ministero e le Regioni facciano confusione. Questa riforma nasce come conseguenza del Dm 70 già profondamente sbagliato. Qui si cerca di mettere una pezza che rischia di essere peggiore del buco. Così facendo verrà a perdersi il rapporto fiduciario tra medico e paziente che è per noi un obbligo. Nel passaggio alla dipendenza chi potrà impedire ad un medico di svolgere unicamente le ore previste? Attualmente si instaura un rapporto anche di amicizia con il paziente in forza del quale il medico di base viene contattato a qualsiasi ora del giorno o della notte. Inoltre, viene da chiedersi se sono state individuate idonee risorse per realizzare gli studi medici, per retribuire figure professionali quali infermieri o personale amministrativo. Si tratta di una cifra enorme su cui secondo me non c’è stata una seria riflessione. Infine, vi è la questione della cassa mutualistica Enpam, con il passaggio alle dipendenze i medici prossimi alla pensione rischiano di perdere i diritti acquisiti perché sono i contributi versati dai nuovi iscritti a sostenere i costi delle pensioni. Ma l’asse sulla riforma si è già infranto. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Paolo Barelli, si è espresso contrariamente a questa riforma. Sono convinto che non passerà».