I tre nuovi ospedali della Calabria, che ancora non hanno visto la luce, sono in realtà già molto “vecchi”, anche se per due di loro – quelli di Vibo e Palmi – non c’è neppure lo scheletro edilizio a fare ombra sui terreni dove dovranno sorgere. È nel lontano 2007, infatti, che emerge, probabilmente per la prima volta ma con forza, l’esigenza di rendere più moderne e attrezzate le strutture ospedaliere calabresi. Il 13 dicembre di quell’anno, infatti, viene siglato l’accordo di programma integrativo che contiene le prime scelte strategiche fondamentali per il riordino della rete ospedaliera regionale.

Con quel documento, innanzitutto, si prevede la realizzazione di quattro nuovi ospedali e si stanziano i relativi finanziamenti. Presidente della Regione Calabria all’epoca era Agazio Loiero che sull’onda emotiva provocata dalla morte della giovane vibonese Federica Monteleone aveva deciso che era giunto il tempo di ammodernare gli ospedali resi insicuri dalla totale assenza di azioni di riqualificazione.

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Esempio tragico fu il coma e poi il decesso della piccola paziente. Appena sedicenne, Federica Monteleone, era giunta all’ospedale di Vibo Valentia per sottoporsi ad un banale intervento di appendicectomia ma in sala operatoria trovò la morte poiché durante l’operazione chirurgica si verificò un’interruzione alla corrente elettrica mentre l’apparecchiatura per la ventilazione non risultava collegata al gruppo di continuità.

Strutture fatiscenti in cui anche un improvviso black out poteva risultare fatale. Da qui la scelta di realizzarne quattro nuove di zecca dotate delle più moderne tecnologie e apparecchiature: appunto a Vibo Valentia, nella Sibaritide, nella Piana di Gioia Tauro e a Catanzaro. Dal 2007 ad oggi di anni ne sono passati ben sedici e il tempo, nel frattempo, non è stato clemente con i vecchi ospedali che hanno continuato a marciare in attesa del varo dei nuovi.

Nessuno dei quattro ha, infatti, ancora visto la luce e quello di Catanzaro ad un certo punto è persino sparito dalle rotte. Definanziato nel 2012 dal ministero della Salute e dal Mef perché nel capoluogo di regione non si era ancora riusciti a trovare la sintesi sull’accorpamento tra i due ospedali; una operazione che tuttora, in larga parte, risulta indigesta. Nel corso di quasi dieci anni di vita la Calabria è quindi rimasta inchiodata a standard assistenziali fuori da ogni norma, basti pensare che vi sono ospedali costruiti nel 1939.

È il caso del presidio “Santa Barbara di Rogliano” afferente all’azienda ospedaliera Annunziata di Cosenza ma le altre strutture non sono messe meglio. La maggior parte ha visto la luce nella seconda metà del Novecento; nessuna è adeguata alle più moderne norme antisismiche.

Tra quelli che sarebbero già dovuti essere sostituiti dai nuovi ospedali, ad esempio, figura l’ospedale generale Giovanni XXIII di Gioia Tauro costruito tra il 1968 e il 1971; lo Jazzolino di Vibo Valentia costruito nel 1985 e l’ospedale Pugliese di Catanzaro realizzato nel 1995.

Poi gli ospedali riuniti di Reggio Calabria ha un edificio datato 1972, l’ospedale Annunziata di Cosenza è stato inaugurato nel 1939, in piena epoca fascista, e i presidi ospedalieri di San Giovanni in Fiore e Praia a Mare hanno un’età indefinita anche per la Regione Calabria: l’anno di nascita oscilla, infatti, tra 1960 e il 1980. Tutte queste strutture ospedaliere, non a caso, sono oggi beneficiarie di finanziamenti finalizzati alla realizzazione di interventi di adeguamento sismico nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza.

E se gli edifici ospedalieri risalgono allo scorso secolo, non più giovani risultano essere le strumentazioni in uso nei presidi: l’età media oscilla tra i 14 e 10 anni di vita. Si tratta di apparecchiature destinate ad attività di ricovero e ambulatoriali. Secondo uno studio realizzato nel 2020 da Agenas, le gamme camere computerizzate utilizzate in Calabria hanno in media 14 anni di vita, gli acceleratori lineari 12 anni, i mammografi 11 anni, le risonanze e le tac in media 10 anni di vita.

Una condizione che determina ancora oggi mobilità passiva. I calabresi si rivolgono ad ospedali fuori i confini regionali anche per svolgere banali visite ambulatoriali. Secondo i dati raccolti da Agenas, le tac e le risonanze sono gli esami eseguiti in maggior numero fuori la Calabria per cittadini residenti nelle province di Cosenza, Crotone, Vibo Valentia e Reggio Calabria. I pazienti oncologici sono i maggiori fruitori di quelle apparecchiature che in Calabria risultano vetuste e da sostituire.