Qualche giorno fa una notizia apparentemente "comune" ha attirato l'attenzione dell'opinione pubblica e dei media: una dottoressa cubana, Alathiel Alexander Perez, in servizio all'ospedale di Cetraro da circa metà agosto, ha salvato da morte certa una bambina di sette anni giunta in coma e in preda alle convulsioni all'ospedale di Cetraro, intubandola tempestivamente. Si è trattato certamente di un ottimo intervento, tra l'altro effettuato grazie all'aiuto della collega connazionale Yania Perez, medico pediatra, ma in molti, sul web, hanno tentato di sminuire la portata dell'evento, evidenziando che i medici servono proprio a quello, cioè, a salvare vite umane. Tutto giusto. Ma perché, allora, questo salvataggio ha stupito così tanto da essere premiato con encomio persino dal presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto?

Il secondo caso in poche settimane

Per provare a rispondere a questa domanda, dobbiamo fare un'ulteriore, doverosa premessa. Il caso in questione non è l'unico; all'ospedale di Locri, nel giugno scorso, un altro medico cubano ha salvato in extremis un altro piccolo paziente, di soli quattro anni, sottraendolo per un soffio alle grinfie della morte. Anche il quel caso, il bimbo era giunto in pronto soccorso in condizioni disperate ed era stato tempestivamente intubato, senza esitazioni, dal camice bianco in servizio al pronto soccorso che, poi, grazie alle luci della ribalta, si scoprirà essere proprio un anestesista rianimatore. Proprio così: un medico di pronto soccorso che è, contemporaneamente, anche un rianimatore. E la questione, anche se può sembrare banale, è tutta qui. Secondo le regole della sanità italiana, le figure preposte ad effettuare le procedure Iot (ossia, l'intubazione orotracheale) in quei pazienti che non sono più in grado di respirare autonomamente, sono solo due, il medico rianimatore e l'anestesista, e nel mondo delle professioni sanitarie sono ben distinte da tutte le altre. Eppure, i due medici cubani, innanzi ai rispettivi casi di emergenza, si sono accollati la responsabilità di intubare i pazienti senza attendere l'arrivo dei colleghi preposti alle procedure salvavita, che in quel momento erano probabilmente impegnati in altri soccorsi.

Falla normativa

A questo punto, un'altra domanda è d'obbligo: perché i medici cubani hanno agito tempestivamente, mentre i colleghi italiani avrebbero atteso quasi certamente l'arrivo dei medici specializzati? «Da questo punto di vista c'è un vuoto normativo». Lo riferisce a Lac News24 un operatore sanitario che, per lavoro e per logistica, da mesi vive fianco a fianco con i medici venuti da Cuba a sollevare le tragiche sorti della sanità calabrese e che, per il contenuto delle sue esternazioni, preferisce rimanere anonimo. Per spiegare meglio il concetto, fornisce un esempio: «Se un medico italiano effettua una manovra del genere, accollandosi ogni responsabilità, e malauguratamente il paziente muore, come può facilmente accadere in questi casi, la magistratura è costretta a indagare e il medico viene trascinato in un lungo processo che porta via prima di tutto un sacco di energie fisiche e mentali. Cosa che nel nostro lavoro non ci potremmo permettere e che invece accadono spesso quando si verifica un decesso, non soltanto quando c'è una procedura rischiosa. Pertanto, prima di effettuare una manovra del genere, ci si pensa due volte». Così, per rompere gli indugi, chiediamo: «Crede che i suoi colleghi italiani sarebbero intervenuti nei due casi citati?». La risposta è eloquente: «Non posso esserne certo, ma penso di no. Poi, ovvio, bisogna trovarsi in certe situazioni per capire quale sia effettivamente la reazione, ma so che nel nostro ambiente la paura è tanta, la paura di sbagliare, la paura di finire nel tritacarne mediatico, la paura di finire sul banco degli imputati. Spesso lavoriamo a "mani nude" e non ci sentiamo tutelati dalle leggi».

La rigidità dei ruoli

«Questo - continua l'operatore sanitario - succede anche perché nella sanità italiana i ruoli sono rigidi e ben definiti. Il percorso universitario per la laurea in Medicina e Chirurgia è pressappoco uguale per tutti e tale percorso include certamente i corsi di rianimazione Als (acronimo di Advanced Life Support) o Htc con ventilatori di supporto. Dopodiché, chi intende intraprendere la carriera ospedaliera, deve studiare per la specializzazione. Le figure di rianimatore o anestesista si specializzano, appunto, imparando diverse tecniche, tra cui quella dell'intubazione orotracheale, e quello che fa la differenza è l'esperienza maturata sul campo. Per capirci: più pazienti si intubano, più c'è possibilità di effettuare una buona manovra. La procedura è tutt'altro che semplice. Bisogna tener conto di una miriade di fattori, quali età del paziente, peso, gravità, ecc. Ne consegue che chi non pratica tale manovra con regolarità, possa trovarsi spiazzato di fronte a un'emergenza e non voler correre il rischio di sbagliare».

Un semplice atto di coraggio?

A conti fatti, dunque, qual è la differenza tra medici cubani e italiani sul piano della rianimazione? La risposta sembra averla fornita la stessa Alathiel Alexander Perez, specialista in Terapia Intensiva Pediatrica, che, subito dopo l'encomio del presidente Occhiuto, ha dichiarato: «Il lavoro di squadra svolto l’altro giorno mi ha ricordato quello facevo di solito all’ospedale di Santiago di Cuba, dove lavoravo». Negli ospedali di Cuba, quindi, la dottoressa Perez effettuava con regolarità le manovre salvavita e, una volta giunta in Italia, le ha semplicemente messe in pratica, senza pensare alle conseguenze né ai limiti del proprio ruolo imposti dalla riorganizzazione sanitaria. Un semplice atto di "coraggio", frutto dell'esperienza, che si è rivelato provvidenziale.