Più di un miliardo di euro di disavanzo, un buco nella pianta organica medica che sfiora il tetto delle 2500 unità e una (inevitabile) migrazione sanitaria che costa alla Regione quasi 250 milioni di euro l’anno. Un disastro comune in tutta la Calabria e che nella provincia di Reggio assume tratti surreali. È qui che, negli anni, i disservizi sono aumentati in maniera più evidente: reparti chiusi, prestazioni ambulatoriali sospese, liste d’attese interminabili. Uno stillicidio di disservizi peggiorato dai due anni di pandemia e figlio, tra le altre cose, dalla proverbiale carenza di medici.

Se pochi sono infatti i camici bianchi che, finito il lungo percorso di studi, sposano la causa del Servizio sanitario nazionale, ancora meno sono quelli disposti ad accettare le proposte in arrivo dagli ospedali che fanno capo all’Asp di Reggio Calabria. L’ultimo, disperato, tentativo di mettere una toppa alla continua emorragia di medici – e al conseguente “dimagrimento” delle prestazioni mediche fornite all’utenza – arriva direttamente da Cuba, e dovrebbe, al costo di 2,8 milioni di euro per un anno, coprire almeno una parte dei posti vacanti.

Dei 52 camici bianchi che prenderanno servizio lunedì nei quattro ospedali della provincia reggina individuati dalla Regione, 16 arriveranno a Polistena, in forza al Santa Maria degli ungheresi, unico presidio sanitario (quasi) completo, a coprire le necessità di una popolazione di circa 180mila persone. Convenzioni con gli altri ospedali, prestazioni aggiuntive, ricorso alle famigerate, e costosissime, cooperative di medici: tanti sono stati, soprattutto negli ultimi tempi, i tentativi di tenere a galla la baracca da parte dell’Asp ma i numeri restano numeri, e quelli legati ai medici che lavorano nel nosocomio della Piana sono sempre più ridotti all’osso.

«Un sollievo, i colleghi cubani rappresentano davvero un sollievo. Siamo veramente pochi». Francesca Liotta a Polistena ci è arrivata più di 30 anni fa. Anestesista, dirigente medico, attualmente riveste il ruolo di direttore sanitario facente funzioni dell’ospedale. Suo il compito di coordinare i medici in arrivo dall’isola caraibica, accompagnandoli nel percorso di inserimento nel disastrato sistema sanitario regionale. «Sono tutti medici esperti ma saranno affiancati dal nostro personale con cui divideranno i turni. E non c’è niente di eccezionale in questo, succede così ogni volta che un nuovo medico si insedia. Ma mi creda, noi facciamo i salti mortali per garantire il servizio, c’è veramente bisogno di questa iniezione di nuovi dottori».

Dei sedici specialisti in arrivo nella Piana di Gioia Tauro, sette andranno a coprire i buchi della medicina d’emergenza, settore che fa registrare i numeri più drammatici. E poi due cardiologi, un ostetrico, un pediatra, un radiologo, un ginecologo, un medico per la medicina di riabilitazione e due ortopedici: tutti, catapultati direttamente in corsia dopo un corso d’italiano di tre settimane.

Arrivati in paese nel weekend – saranno alloggiati in uno degli hotel cittadini – prenderanno servizio già dalla prossima settimana e dovrebbero impedire il ripetersi dei tanti episodi di “mancata” sanità dettati dall’assenza di professionisti. Ultimo in ordine di tempo, la forzata chiusura del reparto di Rianimazione, sbarrato per circa un mese nel luglio scorso proprio per l’impossibilità di stare dietro ai pazienti. Dodici posti sulla carta (ma quelli garantiti sono solo otto), nel reparto di Rianimazione attualmente lavorano 7 medici, 12 in meno di quanti dovrebbero essere. «Uno di noi è stato molto male e la sua sola assenza ha reso impossibile continuare. A luglio abbiamo dovuto sospendere il servizio e trasportare i pazienti negli altri ospedali. Li abbiamo accompagnati noi fino alla pista, e meno male che abbiamo l’elisoccorso», dice ancora Liotta.

Pesanti le assenze anche in Cardiologia - «ma il concorso sta per chiudersi, i tempi non dovrebbero essere lunghi» - e in Ostetricia e Psichiatria. «Ma le cose stanno cambiando. Prima si notava tanta superficialità, tanta ignoranza, non esistevano sinergie nemmeno nella stessa azienda. Ora si comincia a vedere della programmazione e questo è importante. Come importante è l’arrivo dei colleghi cubani. Guardi, io sono ottimista di mio, ma mi creda, peggio di così non si può».

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