«Hanno scambiato un infarto per un dolore cervicale, così è morto mio nonno»

La nipote di un uomo di 77 anni punta il dito contro i medici del pronto soccorso dell'Annunziata di Cosenza. Il presunto caso di malasanità in una lettera aperta

di Salvatore Bruno
25 settembre 2018
19:50

Aveva un infarto in corso ma al pronto soccorso di Cosenza il medico di turno ha diagnosticato una cervicale, rimandando il paziente a casa. Dopo qualche giorno però il paziente ha perso la vita. L’ultimo presunto caso di malasanità relativo all’ospedale dell’Annunziata viene denunciato dalla nipote della vittima, un uomo di 77 anni, attraverso una lettera aperta affidata ai social network.

 


Subito visitato per quei dolori al petto

«Mio nonno il 19 settembre scorso non si è sentito bene – si legge nella nota –. Lamentava dolori al petto e alle spalle. Al pronto soccorso è stato subito visitato e, nonostante l’elettrocardiogramma presentasse delle fibrillazioni, è stato dimesso. Per il medico di turno si trattava di cervicale, diagnosticata senza fare alcun accertamento e nemmeno le analisi degli enzimi cardiaci. Gli hanno solo prescritto degli antidolorifici. Nei giorni seguenti si è sottoposto ad esami radiografici. Chi gli ha fatto i raggi però per scrupolo lo ha invitato a fare le analisi per controllare il cuore. Sabato mattina (22 settembre ndr) veniamo contattati dal laboratorio perché i valori degli enzimi cardiaci erano altissimi. Quindi abbiamo portato di nuovo mio nonno in ospedale».

 

Operato d’urgenza ma era troppo tardi

«Appena entrati l’infermiera infastidita ci ha detto che quelli fatti erano esami generici e quindi quel valore alto non significava nulla. Abbiamo comunque insistito per farlo visitare ed è stato subito portato in terapia intensiva perché aveva un infarto in corso da giorni. E’ stato operato d’urgenza e durante l’intervento il cuore si è fermato due volte. Poi ha ceduto definitivamente. E’ così che si è spento mio nonno, con il cardiologo che ci ha detto: Che peccato, se solo foste venuti qualche giorno prima. Il punto è che noi qualche giorno prima ci eravamo stati. Oggi mi rivolgo a quel medico che ci ha rimandati a casa e gli consiglio di mettersi una mano sulla coscienza, perché se non si è in grado di fare il proprio mestiere, è meglio non farlo perché se si sbaglia le persone muoiono come mio nonno che poteva essere salvato».

 

Appello alle istituzioni

«Nessuna lettera mi porterà indietro mio nonno, ma spero che qualcuno faccia qualcosa. Siamo stanchi di questa sanità e di perdere le persone care perché a qualcuno scoccia fare il proprio lavoro. Io questo non lo accetto».

Giornalista
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