Gli screening non sarebbero in grado di distinguere i frammenti genetici del virus ancora attivo da quelli del virus ormai inattivo. Le ipotesi degli esperti sudcoreani e statunitensi
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È possibile contrarre nuovamente l’infezione da coronavirus dopo un primo contagio e la guarigione? Il dubbio aleggia da settimane, ma dalla Corea del Sud arriva ora il sospetto che i casi di reinfezione individuati altro non siano che la risultante di un limite del test che cerca le particelle del materiale genetico del virus e che non riesce a distinguere i frammenti genetici del virus ancora attivo da quelli del virus ormai inattivo.
Lo ha riferito Oh Myoung-don, medico dell'ospedale Universitario di Seul, in una conferenza stampa organizzata dallo stesso ospedale, dove erano stati segnalati recentemente oltre 260 casi di reinfezione da coronavirus, e riportata dalla rete internazionale Promed, per la segnalazione delle malattie emergenti. A sostegno dell'ipotesi c'è anche il dato dei Centri per il controllo delle malattie (Cdc) della Corea del Sud, secondo cui i pazienti sospettati di reinfezione dimostravano una capacità nulla o minima di diffondere il virus.
A smorzare la paura delle reinfezioni contribuisce, sempre sulla rete Promed, la biologa Carol Shoshkes Reiss, della New York University: «Sebbene si possa guarire e non essere più infettivi, si potrebbero conservare frammenti dell'Rna del virus che vengono rilevati dai test». Questo accade perché, una volta che il virus è ormai inattivo lascia una sorta di «spazzatura fatta di frammenti di cellule», ha spiegato la biologa riferendosi ai resti delle cellule ormai uccise dal virus quando era ancora attivo; all'interno di questo materiale di scarto restano anche i frammenti del materiale genetico delle particelle virali. Per questo si ritiene che per determinare la presenza di un'infezione, o di un'eventuale reinfezione, occorrano test di tipi diverso: secondo Reiss, invece di limitarsi a individuare il materiale genetico del virus bisognerebbe osservarlo in colture di laboratorio per verificare se è ancora in attività. A rendere altamente improbabili le reinfezioni, secondo l'esperta, è anche il comportamento del SarsCoV2, diverso da quello di altri virus, come l'Hiv responsabile dell'Aids e quello che causa la varicella. Questi ultimi si integrano nella struttura della cellula che racchiude il materiale genetico, il nucleo, e lì possono restare silenziosi per anni per poi riattivarsi; il nuovo coronavirus resta invece all'esterno del nucleo e per questo motivo non è in grado di causare infezioni croniche e recidive ed è «altamente improbabile», ha detto Reiss, che il virus possa riattivarsi subito dopo l'infezione. Anche i cambiamenti genetici del virus sono troppo piccoli per sfuggire al sistema immunitario. Consideriamo tuttavia che si tratta di un virus mai visto finora e non si può escludere la possibilità teorica della reinfezione: «non sappiamo che cosa potrà accadere da qui a un anno, nessuno ha la sfera di cristallo».