di Igor Colombo

 

Sul tanto discusso Decreto sanità Calabria, tante riflessioni ed altrettanti allarmi vengono fatti e lanciati, l’ultimo in ordine di tempo è quello del presidente degli industriali calabresi, Natale Mazzuca, il quale paventa la perdita di circa mille posti di lavoro nella nostra regione nel caso che lo stesso Decreto non venga modificato nella parte relativa alle norme di dichiarazione di dissesto delle Asp da parte dei commissari. Un timore legittimo che in una regione come la Calabria, con una altissima percentuale di disoccupati, deve far alzare l’asticella dell’attenzione, evitando una emorragia occupazionale e di precariato ancora più estesa e forte rispetto agli ultimi anni.

 

Di certo il Decreto sanità contiene punti interessanti e giusti ed è stato strutturato in molti punti per evitare i disastri amministrativi con relativo sperpero di denaro pubblico del passato ma dall’altro rischia di provocare un effetto domino del quale non si può certamente trascurare. L’articolo 6 del suddetto Decreto è naturalmente quello più avversato e contrastato dalle parti interessate ed è quello che obbliga tutti gli enti del Servizio sanitario regionale di avvalersi per gli acquisti e per l’affidamento degli appalti, della Consip, baypassando cosi la SUA e qualunque altra procedura di affidamento per qualunque natura di lavori all’interno degli ospedali e strutture pubbliche. Naturalmente non possiamo sicuramente ignorare i recenti scandali relativi a fatture pagate due volte ad alcuni studi privati in Calabria, soldi della collettività che, con la complicità di dirigenti sanitari corrotti, hanno agevolato aziende private cui non spettavo certamente il pagamento doppio per le prestazioni fornite.

 

Su tutto ciò occorre che le forze politiche insieme a quelle sociali, sindacali ed industriali, facciano un’attenta riflessione come mai è stata fatta prima e certifichino, al netto di un Decreto Calabria che rappresenterà  solo un piccolo argine, rispetto all’emergenza sociale, economica e soprattutto sanitaria, il fallimento in blocco a livello nazionale (quindi non solo calabrese) del sistema di aziendalizzazione cui versa la sanità pubblica. E’ evidente e sotto gli occhi di tutti i cittadini che in tanti anni e con affidamenti scellerati di uno degli ultimi baluardi  sociali rimasto in piedi in Italia, quello della sanità appunto, alle regioni, la qualità è andata peggiorando e gli scandali moltiplicati anche fuori dai confini regionali. La tanto rivoluzione attesa ed annunciata dal 5 Stelle, non c’è stata, con il Decreto Calabria si può affermare che la montagna ha partorito il classico topolino e questo non per le opposizioni messe su da partiti come Forza Italia che, quando hanno governato, hanno causato più danni loro in questo settore che uno tsunami in Asia, bensì perché la soluzione non si è trovata all’apice di tutto. Il sistema sanitario nazionale che fino a circa quarant’anni fa, nonostante oggettive difficoltà, ha comunque raggiunti livelli qualitativi importanti con un aumento dell’età media, è però a rischio concreto di tenuta specie nelle regioni del sud. Le cause naturalmente sono da ricercare nelle cattive gestioni regionali e nelle pessime riforme fatte nel settore, che hanno abbassato la qualità, aumentato i malati cronici, declassato strutture ospedaliere ed aumentato l’emigrazione sanitaria.