I ritardi nei pagamenti da parte dell’Asp di Catanzaro rischiano di provocare la chiusura per asfissia finanziaria del Centro calabrese di solidarietà, la struttura fondata da don Mimmo Battaglia che da oltre trent’anni opera nel settore del recupero di tossicodipendenti e persone affette da altre dipendenze patologiche. Il Centro ha raggiunto il budget massimo assegnato dalla Regione, circa 560 mila euro già insufficienti a coprire l’attività fino a fine anno, ma non riceve i relativi pagamenti da oltre sei mesi. Altri ritardi riguardano i rimborsi per gli utenti che scontano in comunità una misura cautelare. Una situazione che mette a rischio il posto di lavoro per trenta operatori. 

«Stiamo vivendo da mesi grandi difficoltà – ha spiegato Vittoria Scarpino, direttore amministrativo del Centro  non solo a gestire le due strutture nelle attività che svolgiamo, ma soprattutto per il pagamento dei fornitori e degli stipendi dei lavoratori. Diversi i nostri appelli e richieste inviate ad Asp e Regione, ma abbiamo ricevuto come risposta un silenzio assordante». «Avevamo chiesto un incontro alla Regione – ha detto Isa Mantelli, presidente del Centro – per poter variare il budget ed aumentarlo di 100 mila euro. Purtroppo le tossicodipendenze sono aumentate, si è ridotta l’età dei soggetti con queste patologie ed è aumentata anche la comorbidità psichiatrica. Tutti dati allarmanti a cui le comunità terapeutiche posso rispondere nel tentativo di recuperare soprattutto i giovani e di contenere il fenomeno». Lo scoperto bancario rende impossibile accogliere nuovi pazienti e garantire l’ospitalità ai 60 attualmente presenti nelle strutture, che rischiano la dimissione forzata. 

Le testimonianze degli ospiti

Gli ospiti sino ad oggi non erano stati ancora informati della situazione che stava vivendo il Centro. Operatori e direttori hanno proseguito la loro attività senza far trasparire nulla della crisi finanziaria in atto. Alcuni ospiti, però, informati della situazione nel corso della nostra visita nel Centro, hanno voluto esprimere il loro rammarico per questa situazione, raccontando cosa rappresenta per loro il Centro.

 

Luigi: «Per me, un'opportunità di riscatto»

Il primo a voler prendere la parola è Luigi, viene da Napoli, è molto giovane e sta scontando una misura cautelare in comunità: «Questo Centro mi ha dato la possibilità di rinascere – ha detto – prima di entrare qui non ero a conoscenza di questo mondo, ma solo di quello della droga che mi ha distrutto la vita per 16 anni. Grazie al lavoro di tutte le figure professionali presenti io sto imparando a conoscere davvero me stesso ed i miei lati positivi. Mi stanno dando un'opportunità di riscatto rispetto alla mia precedente vita che mi ha dato solo problemi. Ora sono in buoni rapporti con i miei genitori e con tutte quelle persone che credevano che io non potessi mai farcela». 

 

La storia di rinascita di Maria

«Per me questo Centro – ha detto Maria – rappresenta tutto perché prima ero in un’altra comunità ed ho avuto una ricaduta, invece qui gli operatori non mirano soltanto a toglierci dalla tossicodipendenza, ma puntano a cambiare il nostro stile di vita, ci scavano dentro sino a sciogliere quei nodi che ci portiamo sin dall’infanzia. I nostri educatori non vengono qui solo per prendere lo stipendio. Mi chiedo piuttosto come non siano colpiti da “burnout”. Loro ci mettono l’anima ed il cuore per noi. Noi, grazie a loro, stiamo riacquistando la nostra dignità di donne, di mamme, di professioniste. Bloccare questo centro significherebbe toglierci la speranza di una vita migliore».