VIDEO | L'allarme del presidente della Sic e primario della cardiologia del Policlinico di Catanzaro, Indolfi: «Dal piano viene esclusa una larga parte di soggetti con patologie del cuore». La campagna vaccinazione continua con una «gestione a macchia di leopardo»
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Rischiano di non essere adeguatamente protetti dall’infezione da Covid-19 i pazienti con malattie cardiovascolari. È l’allarme della Sic, Società italiana di cardiologia, presieduta da Ciro Indolfi, direttore della cardiologia del policlinico universitario Mater Domini di Catanzaro, che evidenzia come, tra le categorie di rischio incluse nel piano vaccinale, venga esclusa una larga parte di pazienti con patologie del cuore, essendo ricompresi solo coloro che soffrono di scompenso cardiaco: «questo vuol dire che tutti i pazienti cardiopatici che hanno altre patologie, anche gravi, come cardiopatie congenite, infarti, stent, valvole cardiache, non rientrano nella categoria di alta priorità».
Problema etico
Si tratta di un problema etico per gli specialisti della Sic che in un documento inviato al presidente del Consiglio Mario Draghi, chiedono di aggiornare le categorie di rischio: «Noi sappiamo che un paziente giovane se colpito da Covid-19 ha pochissime probabilità di avere eventi fatali. Sappiamo invece che un paziente cardiopatico ha il doppio della mortalità se colpiti dall’infezione.
Gerarchia di priorità
Sulla base di questi studi epidemiologici, per Indolfi, sarebbe necessario dunque rivedere la gerarchia di accesso alle vaccinazioni: «C’è da dire che oggi abbiamo un numero limitato di vaccini e quindi non possiamo vaccinare l’intera popolazione, come vorremmo. Sulla base del numero limitato di vaccini è necessario considerare una piramide che deriva dal rischio che ha il paziente se viene colpito da Covid-19 quindi prima i pazienti anziani, poi i pazienti fragili cardiopatici, oncologici, i pazienti con malattie ematologiche, in dialisi, e poi il resto della popolazione a rischio».
Campagna vaccini a rilento
Intanto per Indolfi continua ad esserci molta confusione sulla campagna vaccinale: «In Italia c’è una gestione a macchia di leopardo. Vi sono 20 regioni che hanno operato in modo differente e gli ultraottantenni, che sono i pazienti a più alto rischio, non sono stati ancora tutti vaccinati. Le ultime casistiche ci dicono che solo il 30% ha fatto la seconda dose».