Viaggio nel paese catanzarese alla scoperta dell'Eremo di Sant'Elia Vecchio, delle Terme romane di Acconia e del suggestivo borgo
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Una notte di pioggia e leggero vento mi ha regalato un piacevole risveglio con un pallido sole e un silenzio puro.
Nella notte, nel sonno e nel sogno, ho udito la voce saggia di un millenario platano, che mi chiamava mentre mi avvicinavo ad un eremo dopo aver intravisto i resti antichi di terme romane.
Eremo, platano, terme romane…
Curinga nella provincia di Catanzaro ho subito pensato, e senza indugio ho iniziato il viaggio con la mia compagna a quattro ruote.
Dovevo raggiungere il paese che viveva nel verde di uliveti e vigneti, tra due province calabre.
Un borgo, che dall’alto osserva le catene montuose delle serre e il mare della costa degli Dei.
Vorrei perdermi nel suo centro storico tra antichi portali di pietra e i colori dei fiori sui balconi, ma una voce mi richiama: “Eremo, platano, terme, non smarrirti segui il tuo sogno!”
Ubbidisco e raggiungo la vicina frazione di Acconia.
Scendo dalla macchina mentre il rumore di moderni attrezzi rurali prende a schiaffi i rami d’ulivo.
Innanzi a me i resti monumentali di un grande edificio di epoca romana, testimoniano il passare del tempo in questo luogo dove la natura incontra la storia.
La storia, che rimane in piedi… le Terme romane di Acconia a Curinga.
Ecco la voce del sogno che mi ricorda: “I resti che vedi altro non sono che gli antichi bagni dei romani, luoghi di incontro e di benessere.”
Non dovrei farlo ma al sogno tutto è permesso e quindi decido di entrare, perdermi nella contemplazione della pavimentazione, notando forse, impronte oramai perdute.
Nell’immaginare la vita di una città romana sento la voce che mi indica il percorso verso l’eremo di Sant’Elia e il platano millenario, sostituita subito dopo da una moderna e muta segnaletica.
A malincuore oltrepasso il paese, la dittatura del sogno mi obbliga ad andare avanti.
Raggiungo la bellezza sulla terra dei suggestivi ruderi dell’eremo di Sant’Elia.
Parcheggio lungo la strada provinciale, scendo dall’auto e inizio a percorrere una leggera salita.
Davanti a me una pianura verde e all’improvviso vengo catapultato in un viaggio all’indietro nei secoli.
L’Eremo di Sant’Elia Vecchio mi attende, forse da tanto tempo, ed io mi avvicino affondando le scarpe nell’erba umida.
Intravedo le sagome dei monaci basiliani, che intorno all’anno 1000 giunsero in questo luogo di solitudine e di preghiera, e dei monaci carmelitani che vissero sino al 1662.
La voce del sogno mi chiede di entrare nella chiesa, praticamente intatta, e mi perdo nell’ammirare la cupola realizzata forse dalla scuola roglianese o dai monaci armeni.
Le mura esterne rimaste in piedi facevano sicuramente parte del complesso monastico dei carmelitani.
Prima di andare volgo lo sguardo verso il golfo di Sant’Eufemia e grazie alla bellissima giornata di sole e di azzurro intravedo le isole Eolie.
Ad un certo punto riecco la voce calda che mi esorta a raggiungere il Platano millenario di Vrisi.
Ritorno sulla strada dove avevo lasciato la mia auto e mi inoltro nel bosco.
Dopo una breve e fiabesca passeggiata mi trovo innanzi al maestoso albero.
Non è possibile spiegare la sua bellezza e chiudendo gli occhi vedo la leggenda.
Noto un monaco armeno, che giunse in Calabria dopo un naufragio, intento a piantare il platano orientale, mentre il rumore del torrente è musica per la natura e per il mio sordo udito.
È impressionante la cavità del platano, rifugio di pastori, passanti e sognatori.
Le sue radici somigliano alle dita della mano di un essere umano.
È il tentativo disperato dell’uomo di rimanere saldo al suo terreno, alle sue origini.
Ecco la voce del sogno, che proviene dalla cavità del platano, che mi chiede di proseguire il viaggio e raccontare tutto ciò che i miei occhi riusciranno ancora a vedere.
Una lacrime scivola sul mio viso e cade ai piedi del platano.
È una lacrima di gioia, è una lacrima di incanto, è una lacrima di speranza.