Non basta un’estetica patinata a salvare il film di Coralie Fargeat che prometteva troppo e mantiene poco. Neanche Demi Moore sfugge alla delusione per l’Oscar sfumato
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Per mesi le immagini di The Substance, hanno deliziato il palato degli amanti della fotografia, dei cinefili da circolo, dei colorist, degli armocromisti, degli architetti, dei makeup artist che hanno gridato al genio, al miracolo. Ma la storia insegna che tanto più qualcosa è ingioiellata, idolatrata, lucidata, più nasconde una gracile anima di fil di ferro.
La narrazione del film con Demi Moore ci ha raccontato di iperlavori di trucco prostetico, che sul viso di Margareth Qualley ha avuto conseguenze per più di un anno, e di svenimenti in sala, tanto per rendere il tutto più succulento. Troppo sangue, troppo horror. Così promettevano. Marketing. Puro marketing. Perché non c’è tutto questo sangue e neppure tutto questo horror e gli omaggi a Stanley Kubrick e alle sue architetture sono tanto smaccate da perdere di senso davanti alle crepe dello script.
In realtà The Substance avrebbe davvero bisogno di sostanza per essere considerato un film discreto, perché non lo è. È un’insalata scondita, servita come un piatto gourmet, con tanta scenografia affumicata intorno, per annebbiare e confondere.
Battage pubblicitario a parte, stringendo-stringendo, qui c’è poco da salvare. La storia deve troppo ad altre storie, di ben altra calibratura come “La morte ti fa bella”, ma senza un briciolo del suo humor nero, e “La mosca”, ma senza il genio di Cronenberg. Insomma pietanza sciapa, ma che per il pubblico, ormai abituato a cibarsi di roba di poco conto al cinema, è sembrato chissà che.
Anche la tanto elogiata performance di Demi Moore, non è così portentosa come il trucco di scena che porta. L’attrice si piace tanto calata in questa parte che sembra scritta per lei (degenerazioni grottesche a parte). Moore ha fatto della forma perfetta la sua filosofia di vita, ma questo non basta a regalarle la performance della vita.
Nel film seguiamo la storia di Elizabeth, una soubrette cinquantenne in splendida forma, che viene sostituita da una donna molto più giovane e soda. D’improvviso la sua convinzione di essere ancora affascinante e bellissima, decade e si sgretola davanti a uno specchio che smette di restituirle l’immagine che amava coccolare.
La soluzione si presenta nella forma di una cura speciale che permette a Elizabeth di sdoppiarsi e dare vita a una sé alternativa, bellissima, giovanissima, insomma perfetta. Le regole da rispettare, però, sono ferree e le conseguenze per le trasgressioni, irreversibili.
Da mesi Demi Moore ha fatto di The Substance la bandiera del suo riscatto. L’animosità dei discorsi regalati al pubblico e ai giornalisti, lasciava trapelare la sua ansia di dimostrare di essere ancora da prima fila.
Dopo il trionfo ai Golden Globe, la strada per l’Oscar sembrava spianata. E invece è andata diversamente, perché Moore è stata battuta in volata dalla giovanissima Mikey Madison, protagonista di “Anora”. E deve esserle sembrata quasi una beffa.
E per tramutare la realtà in una scena crudele, in una sconfitta succulenta da gustare, le telecamere della tv hanno indugiato sul suo viso per cogliere in pieno la delusione deflagrante quando Emma Stone ha regalato il sogno di una vita ad un’altra donna; il web ha poi compiuto l’autopsia sul suo volto, immortalandolo frame dopo frame, per cibarsi della sua tristezza che in quel momento sì, è sembrata tanto vicina a quella della sua Elizabeth, quando si guarda e scopre di non essere abbastanza. Un circolo infernale travestito di pailettes, una cerimonia funerea alimentata dai dannati appartenenti al girone dei nessuno, impomatati e unti di invidia. E questo sì che fa paura.