"La tomba delle lucciole", diretto da Isao Takahata, è un capolavoro dell'animazione giapponese che racconta la storia di due fratelli, Seita e Setsuko, durante la Seconda Guerra Mondiale. Attraverso una narrazione toccante, il film esplora temi universali come la sofferenza, la morte e la fragilità della vita, affrontando la guerra con uno sguardo profondamente umano
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Un fratello e una sorella, nel deserto artico di tanti cuori induriti dalla guerra. Un fratello e una sorella, Seita e Setsuko, soli in una grotta, a cercare riparo dalle bombe, dall’indifferenza. Nella notte, catturare le lucciole è il gioco della più piccola; alcune svaniscono, delicate, e muoiono nella sua mano; altre prima dell’alba, perché il loro ciclo si consuma brevemente. È un destino che tocca a tutti, a qualcuno prima degli altri.
Con una lama affilata, Isao Takahata con "La tomba delle lucciole" (su Netflix), ci uccide dolcemente: insegna che la morte accade, come accade l'autunno, e possiamo ugualmente godere di un cielo limpido, anche se ai nostri piedi c’è l’orrore per una fine ingiusta e precoce.
Un approccio alla vita e alla morte che, in Occidente, appare quasi freddo e cinico, e che in Giappone è parte invece di una grande religione che non ha testi sacri, né la concezione del peccato; non ha recinti e divieti, invita solo a vivere in armonia con un Universo che ci palpita intorno.
Le lucciole come metafora della vita
La fede shintoista predica una concezione dell'esistenza e del termine di essa, pacifica. Si integra senza frizioni con il buddhismo, in cui tutto è parte del ciclo di nascita, morte e rinascita (Samsara). La sofferenza è una parte inevitabile della vita e il fine ultimo è liberarsi da essa, raggiungendo così l’illuminazione (Nirvana). E così accade per i due fratellini, costretti a sopportare le atrocità del conflitto e che solo dopo, transitando nell’altrove, troveranno la felicità.
Ogni cosa che accade, per lo shintoismo, è parte della grande Natura, divinità immanente e politeista, a cui l’uomo deve ricongiungersi, facendo in vita tutto il necessario per mantenere pulito lo spirito. Solo così egli potrà fondersi con la componente divina che alita in ciascuno di noi fin dalla nascita. La morte è considerata un elemento disturbante, nel suo accadere, e necessita di purificazione per permettere a chi viaggia da una dimensione all’altra, di riposare nel suo spazio eletto: che sia esso una cascata, una montagna, un albero.
Gli spiriti giapponesi colorano la gran parte dei racconti degli autori del Sol Levante, gli amati manga e anime ne sono intrisi. I morti restano vicini ai vivi, abitano nel mondo, non conoscono inferni o paradisi, ed è per questo che per la fede shintoista l'aldilà non ha molta importanza: conta la vita e come la trascorri. Non esistono i peccati, concepiti alla lontana solo come azioni che possono turbare lo spirito che tende, naturalmente, alla purezza.
Un capolavoro emotivo universale
Noi, spettatori della grande opera del co-fondatore dello Studio Ghibli con il gran maestro Miyazaki, non possiamo che ringraziare Takahata per averci lasciato piangere entrando in questo racconto che contiene tanta luce. Il dolore, a volte, è necessario e può essere grande bellezza.
Non per retorica l’anime “La tomba delle lucciole” è considerato un capolavoro, un patrimonio emotivo universale, un racconto che chiunque dovrebbe guardare, respirare, perché gli autori orientali hanno il dono di rendere leggero come vapore, ma persistente come il profumo di un cedro, il senso dell’esistenza. Il film chiude la gola fin dai primi istanti, inchioda, non ti dà scampo, all’orecchio ti racconta, tenendoti la mano, che tutto trascorre nel tempo di un battito e che nulla è perduto: non la felicità, non l’amore, perché ogni cosa porta a ricongiungersi alla natura, l’unico Dio che può dare la pace, anche se sei solo una lucciola che illumina la sera.